Vangelo
“In quel tempo, 2 Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, mandò a dirgli per mezzo dei suoi discepoli, 3 ‘Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?’. 4 Gesù rispose: ‘Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: 5 I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella. 6 Beato colui che non si scandalizza di me!’. 7 Mentre questi se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: ‘Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8 Che cosa dunque siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re. 9 E allora, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, anche più di un profeta. 10 Egli è colui, del quale sta scritto: Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero; che preparerà la tua via davanti a te’. 11 In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui” (Mt 11, 2-11).
La via per la felicità
La ricerca della felicità orienta l’esistenza di ogni creatura umana per disposizione divina. La Liturgia della Domenica “Gaudete” indica la vera via per incontrarla e offre un esempio sicuro da seguire.
I – UNA VENTATA DI CORAGGIO PER ARRIVARE FINO ALLA FINE
Diceva il celebre teorico di guerra Karl von Clausewitz1 che il miglior modo per vincere un avversario è fargli perdere la voglia di combattere, poiché la diminuzione della sua forza morale è la causa principale del suo annichilimento fisico. Così, quando intraprendiamo un’azione con scoraggiamento, non raggiungiamo la meta. Al contrario, chi ha una fiducia solida, basata su una fede vigorosa, sviluppa energie ed entusiasmo per perseverare fino alla fine con gagliardia. Se, per caso, nella realizzazione di un arduo sforzo, sentiamo mancare il respiro, basta una ventata di speranza per raddoppiare la buona disposizione e garantire il successo.
La Chiesa, la 3º Domenica di Avvento – chiamata Domenica Gaudete –, ha di mira questo proposito: fare una pausa negli ammonimenti del periodo di penitenza e alleviare il dolore causato dal ricordo dei peccati commessi, per considerare con gioia la prospettiva della nascita di Nostro Signore Gesù Cristo. Tra breve saremo liberati dalla nostra miseria, se sapremo ascoltare i suoi insegnamenti e aprirci alle grazie che Egli ci porta, e potremo andare avanti con entusiasmo, confortati dalla certezza che ci sarà data la salvezza. Questo vero gaudio per la prossima venuta del Redentore è la nota dominante di questa Messa, simbolizzata dal colore rosato dei paramenti ed espressa nei testi liturgici, senza, tuttavia, escludere totalmente il carattere penitenziale. Dopo il peccato originale, la croce è diventata indispensabile per ottenere la gloria nel compimento della finalità alla quale siamo stati creati.
La sete di felicità della creatura umana
Se volgiamo la nostra attenzione a tutte le creature umane, troveremo in ognuna di loro il desiderio di ottenere la felicità. Quando Adamo, bellissima figura di terra, uscì dalle mani divine e gli fu infuso un soffio di vita, egli già possedeva quest’aspirazione che era esaudita con generosità con la sua partecipazione alla stessa natura di Dio, la Felicità Assoluta. Così elevata era la figura di quest’uomo che il Signore andava a fargli visita nel Paradiso, nell’ora della brezza della sera (cfr. Gn 3, 8). Erano beati i nostri primi genitori! Però, espulsi da quel luogo di delizie in conseguenza del peccato, Adamo ed Eva si videro obbligati ad abitare questo mondo pieno di difficoltà, senza perdere, tuttavia, quella brama di felicità. Ardevano dal desiderio di ritornare allo stato di un tempo, di godere delle meraviglie che avevano conosciuto nell’Eden. Più tardi, costituito il popolo di Israele, particolarmente amato dalla Provvidenza, questi aspettava l’avvento di un Salvatore che lo togliesse da questa spiacevole situazione.
Con il passare dei secoli e millenni, gli ebrei – sempre in una tremenda instabilità e sottomessi alla schiavitù per diverse volte – alimentarono via via l’idea che il Messia sarebbe stato un uomo favorito da doni meramente naturali, portatore di soluzioni umane e politiche per tutti i problemi. La loro grande incognita riguardava la venuta di questo inviato che avrebbe portato la felicità, che ormai non concepivano più come una condizione simile a quella del Paradiso, ma secondo modelli terreni. Qualcosa di simile capita a noi, poiché sappiamo che il centro della nostra vita e la fonte della gioia è il Signore Gesù; tuttavia, le illusioni del mondo indirizzano a una pseudofelicità basata sulla buona carriera, sull’acquisizione di un prezioso patrimonio, su una posizione di prestigio, su un vantaggioso matrimonio o, magari, su affari lucrativi. In una parola, la felicità per coloro che la pensano in questo modo è nella materia, e non in Dio. Ecco dov’è lo spiacevole equivoco.
Per annullare questo errore, la Liturgia della Domenica della Gioia ci indica la vera via della felicità e offre un esempio sicuro da seguire.
II – LA GIOIA DI COMPIERE LA PROPRIA MISSIONE
L’episodio narrato nella sequenza evangelica della 3a Domenica di Avvento, avviene in circostanze molto speciali. Nostro Signore stava entrando nel secondo anno della sua vita pubblica e aveva già realizzato numerosi miracoli, trovandosi di ritorno dalla piccola città di Naim, dove per sua iniziativa aveva resuscitato il figlio di una vedova (cfr. Lc 7, 11-15). Passando per le strade tortuose della regione entrò nel villaggio e S’imbatté in alcuni uomini che trasportavano un morto. Fece fermare il corteo e restituì la vita al defunto, consegnandolo in seguito a sua madre. Questo fatto ebbe un’enorme ripercussione che, sommata a quella di molti altri, mosse l’intero Israele a parlare del grande Profeta che era sorto.
Il Precursore pagò la sua fedeltà alla verità con la prigione
“In quel tempo, 2a Giovanni era in carcere”.
Giovanni Battista, uomo integro che recentemente aveva scosso Israele con la sua predicazione ed esempio di vita, era stato catturato. Nella sua rettitudine, il Precursore aveva detto alcune verità al re Erode Antipa – che, schiavo delle sue passioni, era dominato da una concubina, la sposa di suo fratello Filippo – e, per questo, il tiranno aveva deciso di metterlo in prigione. Pungente contrasto: le passioni sregolate e senza freno di Erode gli danno la libertà per un’azione illegittima, mentre l’onestà di Giovanni lo porta in prigione.
Nella prospettiva della Domenica Gaudete sorge una domanda: quale dei due gode di autentica gioia, Antipa, l’adultero, o San Giovanni, incarcerato per la sua fedeltà? Dobbiamo convincerci che Dio ha creato l’uomo per un destino eterno, nel gaudio o nella sofferenza. Pertanto, la vera gioia è quella che ci conduce alla felicità del Cielo, e non quella che ci conduce alla miseria senza fine. Tuttavia, l’umanità vorrebbe bene creare una terza via: un limbo dove non ci fosse sofferenza né possibilità di visione beatifica, ma soltanto una vita naturale, puramente sensitiva, per l’eternità intera.
Ricordiamoci dell’importante massima: “non datur tertius – non c’è una terza posizione”. Questa fu inventata da satana cadendo dal Cielo ed è fatta di fumo, è illusoria, poiché nella realtà non esiste: o violiamo la morale e diamo sfogo alle nostre cattive inclinazioni, riproducendo in noi la pseudogioia di Erode Antipa, o siamo integri, sull’esempio di Giovanni, e anche noi stiamo in ogni istante in “prigione”, ossia, soggiogando e incatenando le nostre tendenze e passioni disordinate.
Preoccupazione esclusiva per la gloria di Cristo
2b “avendo sentito parlare delle opere del Cristo, mandò a dirgli per mezzo dei suoi discepoli, 3 ‘Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?’”.
Che avvenimenti avrebbero portato il Precursore, ora in carcere, a far fare ai suoi discepoli questa domanda al Divino Maestro? Prima di suggerire qualsiasi ipotesi, teniamo presente che egli è un Santo, considerato da Nostro Signore come l’uomo più grande nato fino a quel momento. Dunque, non si tratta di un’incertezza sull’identità di Cristo, che già era stato presentato da lui in termini chiarissimi: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1, 29); “Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo” (Mc 1, 7-8). Giovanni Battista sapeva perfettamente chi era Gesù, e non aveva bisogno di alcuna spiegazione.
Allora, perché li invia con l’incarico di chiedere riguardo al carattere messianico di Nostro Signore? Fedele alla sua missione di indicare il Figlio di Dio, arde di desiderio che tutti riconoscano il Salvatore che è tra loro e vuole trasmettere agli altri la sua felicità di averLo visto ed essere suo contemporaneo.
San Giovanni Battista si trovava imprigionato nella torre di Macheronte – inaccessibile fortezza di Erode, localizzata nelle prossimità del Mar Morto, a 1158 metri di altitudine sul livello di questo2 –, senza alcuna possibilità di agire. In un dato momento, gli giunsero all’orecchio, per mezzo dei suoi seguaci, le ripercussioni dei grandi e numerosi miracoli operati da Gesù. Questo sembrava esse essere il momento propizio per mandare un messaggio a Colui che è il Creatore dell’universo, l’Onnipotente: “Signore, sono imprigionato, liberami!ˮ Con un semplice atto di volontà di Dio Nostro Signore, le catene si sarebbero sciolte, le manette si sarebbero aperte e lui sarebbe uscito dalla prigione. Ma il Precursore non pensava a sé o alle sventure subite in quello stato e neppure gli venne l’idea di chiedere soccorso. Per lui era indifferente morire o vivere: la sua preoccupazione era rivolta esclusivamente alla gloria del Redentore.
Concetto messianico deviato
Per questo, Giovanni Battista s’impegnava a creare condizioni affinché Nostro Signore Si manifestasse sempre di più. Egli era ormai estenuato dai vani tentativi di convincere i suoi discepoli, che insistevano su una concezione politica riguardo il Messia. Desideravano un re umano che ascendesse al trono di Israele e desse forza al suo popolo. Via via che seguivano il ministero di Nostro Signore, erano presi da insicurezza, perché Egli era un Uomo capace di fare miracoli straordinari, sebbene non Si pronunciasse in materia di politica e predicasse l’avvento di un misterioso Regno di Dio che non sembrava essere di questo mondo. Istigati dall’invidia, costava loro credere che Quello fosse il Cristo, perché non corrispondeva alle loro aspettative e al modello da loro immaginato. Considerazioni come queste pullulavano nelle loro menti: “È nato a Nazareth…ˮ; “Suo padre era carpentiere!ˮ; “Ma sarà, di fatto, il Messia?ˮ (cfr. Mt 13, 54-57). Del resto, qualcosa di simile avveniva a proposito dello stesso Precursore, il quale non aveva corrisposto alle speranze in lui depositate quando cominciarono a seguirlo.
Questa cecità, senza dubbio, lasciava San Giovanni indignato, fino a che comprese che restava soltanto una via d’uscita per spezzare quella freddezza: che essi avessero un contatto diretto con Gesù, l’unico che avrebbe potuto trasformarli affinché comprendessero chi Lui fosse. Tutto quanto era alla sua portata lo aveva fatto, non risparmiando sforzi per comunicare loro la straordinaria gioia nella quale si sentiva immerso esercitando la sua missione di Precursore. Li inviò, dunque, con la piena fiducia che Nostro Signore facesse per loro quello che personalmente egli non era riuscito a fare, e che il dialogo con il Maestro fosse un’occasione perché ricevessero una grazia che agisse in fondo alle loro anime e li portasse a convertirsi. Questa persistenza a volere più per gli altri che per se stesso e a cercare di renderli felici, di una felicità soprannaturale, era caratteristica del Precursore.
L’Evangelista sottolinea: “Quando sentì parlare delle opere del Cristo”, indicando che San Giovanni aveva compreso che era il momento appropriato per inviarli, data la forte impressione causata dai miracoli di Gesù. Risulta chiaramente dal tenore della domanda che si aspettassero un Messia secondo altri modelli: “Sei Tu, Colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?”.
In contrasto con la modestia del loro maestro, che viveva completamente dimentico di sé e si preoccupava per loro, i discepoli di San Giovanni non chiesero a Nostro Signore per conto di colui che li aveva formati. Avevano per lui così poco amore che non s’interessarono di tirarlo fuori dal carcere e liberarlo da quella penosa situazione. Questi siamo noi, ogni volta che ci chiudiamo e rispondiamo soltanto alle sollecitazioni dell’egoismo e ai nostri vantaggi personali, più rivolti a noi stessi che a Dio e al prossimo. Di conseguenza, la felicità fugge da noi e cresce l’egocentrismo.
I miracoli provavano che Egli era il Messia
4 “Gesù rispose: ‘Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: 5 I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella’”.
La risposta di Nostro Signore, piena di saggezza, non fu: “Io sono il Messia”. Probabilmente, dato lo stato di spirito di chi lo interrogava, una dichiarazione in questi termini non sarebbe stata ben accolta. La Sua affermazione offriva elementi affinché essi comprendessero la verità da soli, come se dicesse: “Analizzate quello che accade, guardate le mie opere e le loro conseguenze, e in funzione di questo ricavate le conclusioni. Chi vede tutti i prodigi che Io faccio e non crede che sono il Messia, non ha intelligenza”. E ricorre ai vaticini di Isaia, ben conosciuti da tutti gli israeliti (cfr. Is 26, 19; 29, 18; 35, 5; 42, 7; 62, 1), come una conferma. Infatti, qualsiasi cieco che gridasse a distanza chiedendo la guarigione, si allontanava dalla sua presenza vedendo e rendendo grazie a Dio. Aveva anche restituito la salute a numerosi paralitici, come quello della piscina di Betesda (cfr. Gv 5, 1-9) o quello che era sceso dal tetto (cfr. Mc 2, 3-12). Bastava toccasse i lebbrosi che le piaghe sparivano, o i sordomuti, che erano guariti. Egli aveva appena resuscitato un morto con grande scalpore nel paese, come sopra si è ricordato, e stava portando la Buona Novella a tutti. Per mezzo di questa, molti acquisivano – è questo il maggior miracolo! – la nozione che erano incapaci, non riuscivano a percorrere da soli le vie della virtù, e prendevano coscienza che avevano bisogno dell’aiuto di Dio. Costoro erano evangelizzati e accoglievano la dottrina con entusiasmo.
Tuttavia, si scandalizzarono…
6 “Beato colui che non si scandalizza di me!”.
Infine, Nostro Signore completa la risposta con queste parole, segnale chiaro che i discepoli di Giovanni Battista non accettarono bene il messaggio e avevano invidia della grazia fraterna. Invece di rallegrarsi perché verificavano che un altro era stato favorito dalla benevolenza di Dio, con una manifestazione evidente del suo potere, vedono nella Persona di Gesù un’ombra proiettata su se stessi.
Avendo concluso che l’obiettivo di Nostro Signore non era la restaurazione del regno di Israele, si sentirono frustrati, poiché immaginavano che, per il fatto di aver abbandonato tutto per seguire il Precursore, sarebbero stati i primi presso il Messia. Capiscono ora che stanno in secondo piano e, per giustificarsi, devono trovare in Lui difetti che dimostrino, in accordo coi loro concetti, che non è l’Inviato: “Egli parla soltanto del Padre, del Regno Eterno, della vita dopo la morte; viene a predicare una resurrezione…ˮ. Insomma, si scandalizzarono, sull’esempio dei farisei, che certamente erano lì e si ritenevano i primi, molto al di sopra dei discepoli di San Giovanni. Vanitosi per la loro conoscenza della Legge e della perfetta osservanza delle regole, vedevano i miracoli di Gesù e dicevano che agiva col potere dei demoni (cfr. Mt 9, 34).
Inoltre, gli stessi Apostoli temevano che Egli affrontasse le autorità dell’establishment israelita, col timore di perdere l’opportunità di seguire una grande carriera basata sulle loro doti eccezionali, dalla quale essi avrebbero tratto il conseguenconseguente profitto. Anche per i Dodici quel Messia non corrispondeva a quello che volevano e si scandalizzavano. Per questo Nostro Signore afferma: “Beato colui che non si scandalizza di me!”, ossia, “Beato colui che, malgrado il mondo sostenga che la gioia si ottiene in altro modo, sa che essa sta nella croceˮ.
Le labbra divine elogiano il Precursore
7 “Mentre questi se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: ‘Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8 Che cosa dunque siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re. 9 E allora, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, anche più di un profeta. 10 Egli è colui, del quale sta scritto: Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero; che preparerà la tua via davanti a te’”.
In seguito i discepoli di Giovanni partirono, senza che il Vangelo registri se riconobbero Gesù come Messia o no. Tuttavia, le parole di Nostro Signore sono una proclamazione evidente della Sua identità, poiché Lui evoca le profezie e prova che le sta compiendo.
Dopo la loro partenza, Gesù comincia a parlare di colui che è incarcerato, elogiandolo per non essere canna sbattuta dal vento – una persona scostante –, ma un uomo saldo, incrollabile e integro, simile a una torre o una roccia. Nella sua austerità si era rifiutato di usare indumenti raffinati, come facevano coloro che s’inoltravano per le vie politiche senza preoccuparsi dell’aspetto religioso, preoccupati innanzitutto di seguire una carriera sociale brillante presso i potenti di questo mondo.
Nostro Signore vuole ancora mostrare che la grandezza di Giovanni va ben oltre la sua condizione di profeta. Costui, come si sa, è incaricato di annunciare, insegnare e indicare, secondo la volontà di Dio, le vie del dovere, quasi sempre contrarie alle vie libertine proposte dal mondo. Ora, perché il Precursore ha oltrepassato il limite del profetismo? Per essere stato anche chiamato – oltre che a proclamare la verità – a preparare le vie dell’Uomo-Dio. È quanto commenta San Giovanni Crisostomo: “In cosa, dunque, è più grande? Nel fatto di essere più vicino a Colui che era venuto. […] Come in una comitiva regia quelli che si trovano più vicini alla carrozza reale sono i più illustri tra tutti, così è Giovanni, che appare momenti prima dell’avvento del Signore. Notate come a causa di questo [Gesù] dichiarò l’eccellenza del Precursore”.3
Con profondità e bellezza, il Cardinale de La Luzerne esalta la figura di San Giovanni Battista, risaltando il suo ruolo senza pari nella Storia: “Egli chiude la successione dei profeti e apre la missione degli Apostoli. Egli appartiene allo stesso tempo all’Antica Legge e alla Nuova, e si eleva tra l’una e l’altra come una colonna maestosa, per segnare il limite che le separa. Profeta, apostolo, dottore, solitario, vergine, martire, egli è più di tutto questo, perché è tutto questo allo stesso tempo. Egli lega insieme tutti gli attributi della santità, e riunendo in se stesso tutto quello che costituisce le differenti classi di Santi, forma tra loro una classe particolare”.4
Il valore del Regno dei Cieli
11 “In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui”.
A prima vista questo versetto sembra incomprensibile, poiché come può il più grande tra quelli già nati essere il più piccolo se comparato agli abitanti del Regno dei Cieli? Qui Nostro Signore Si riferisce a due tappe, pertanto, a due differenti nascite. San Giovanni Battista ricevette la vita della grazia nel ventre materno di Santa Elisabetta, per gli effetti della voce della Madonna, e nacque senza peccato originale. In questa prospettiva, è il più grande, visto che nessun altro ebbe il privilegio di essere battezzato in questa sublime maniera. Tuttavia, per entrare nel Cielo si rende necessario nascere per l’eternità, e tanto più importante è il Regno Eterno che il più elevato degli uomini di questo mondo diventa piccolo vicino ai giusti che già godono della visione beatifica. È quello che sostiene San Girolamo: “ogni santo che sta già con Dio è più grande di quello che ancora si trova in battaglia. Infatti una cosa è possedere la corona della vittoria e un’altra star ancora lottando sul fronte di combattimento”.5
Nonostante la differenza tra lo stato dei Beati nella gloria e degli uomini giusti che ancora integrano le fila della Chiesa militante, tutti coloro che si trovano presso Dio hanno ottenuto le loro corone seguendo la stessa via percorsa da San Giovanni Battista, che lo fece grande in questo mondo e più grande ancora nell’altro. La sua gloria si deve alla fedeltà a ogni prova ai disegni divini con l’accettazione della sofferenza, e questo lo rese degno del più grande elogio fatto da Nostro Signore a qualcuno in tutto il Vangelo.
III – LA VIA DELLA VERA FELICITÀ
La Liturgia di questa domenica ci invita alla gioia, mostrando la via per raggiungerla. Il contrasto tra i protagonisti della scena di oggi è noto: mentre San Giovanni è in carcere e si sottomette a questo patimento con piena rassegnazione, animato dalla felicità di esser integro e compiere la sua chiamata, i discepoli si vedono privati di questa felicità per l’invidia che li consuma. Simile amarezza accompagna Erode Antipa, schiavo delle sue passioni, come anche i farisei che vivono alla ricerca di lode e incenso, mossi dalla sete di gloria terrena. Gli stessi Apostoli non sono interamente felici in questo periodo della vita pubblica del Divino Maestro, poiché aspettavano un Messia differente da quello che hanno di fronte.
La gioia, allora, dov’è? Nella pazzia della Croce. Il Signore Gesù non poteva esser triste né abbracciare un cammino di depressione e, tuttavia, scelse quello del Calvario per darci l’esempio e indicare che la conquista della felicità comporta l’avversità e il dolore. Ricordiamoci del suo insegnamento: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16, 24). L’idea che la felicità escluda la sofferenza è infondata, poiché una volta che siamo tendenti al male per la caduta dei nostri progenitori, la sofferenza è diventata un elemento indispensabile per la nostra santificazione.
Infatti, il problema della sofferenza non sta tanto in quello che la genera, ma nel modo in cui è sopportata. Essa esiste in tutte le situazioni della vita e chiede da parte nostra il coraggio che questa Liturgia presenta, di cui Maria Santissima è modello. Lei ha accettato tutti i patimenti che si sono abbattuti sul suo Divino Figlio ed è stata disponibile a dare il suo contributo al sacrificio redentore, poiché voleva la salvezza di tutti.
Il nostro scopo è appartenere a Gesù
Fatto per appartenere a Nostro Signore Gesù Cristo, l’essere umano si realizza nella misura in cui assume con serietà la sua condizione di battezzato, membro della Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana, facendo passi avanti nella pratica della virtù e nella ricerca della santità. Quanto più avanziamo in questa via, maggiore è la gioia che ci invade, come il desiderio di progredire ancor più. Consideriamo apertamente il nostro destino eterno mentre attendiamo la venuta del Salvatore. Nella notte di Natale Egli nascerà di nuovo, misticamente, e se applichiamo nella nostra vita la lezione di questa Liturgia nascerà anche nei nostri cuori, dove troverà una degna dimora in cui rifugiarSi.
1 Cfr. VON CLAUSEWITZ, Karl. Grundgedanken über Krieg und
Kriegführung. Leipzig: Insel, 1915, p.47-48.
2 Cfr. SCHUSTER, Ignacio; HOLZAMMER, Juan B. Historia Bíblica.
Nuevo Testamento. Barcellona: Litúrgica Española, 1935,
tomo II, p.157-158.
3 SAN GIOVANNI CRISOSTOMO. Omelia XXXVII, n.2. In: Obras.
Homilías sobre el Evangelio de San Mateo (1-45). 2.ed.
Madrid: BAC, 2007, vol.I, p.734.
4 LA LUZERNE, César-Guillaume de. Explication des Évangiles
des Dimanches. 9.ed. Paris: Mequignon Junior, 1847, tomo I,
p.42.
5 SAN GIROLAMO. Comentario a Mateo. L.II (11, 2-16, 12),
c.11, n.80. In: Obras Completas. Comentario a Mateo y otros
escritos. Madrid: BAC, 2002, vol.II, p.131.
Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” da Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.
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