Vangelo
23 Gli rispose Gesù: “Se uno Mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24 Chi non Mi ama non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che Mi ha mandato. 25 Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. 26 Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. 27 Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28 Avete udito che vi ho detto: Vado e tornerò a voi; se Mi amaste, vi rallegrereste che Io vado dal Padre, perché il Padre è più grande di Me. 29 Ve l’ho detto adesso, prima che avvenga, perché quando avverrà, voi crediate” (Gv 14, 23-29).
A coloro che amano!
Gli inimmaginabili doni promessi dal Salvatore, prima della sua partenza per l’eternità, hanno come presupposto quello di amarLo e osservare la sua parola. Approfondire la conoscenza su queste promesse e sulle condizioni affinché esse si compiano, è l’obiettivo di queste pagine.
I – Preparando la partenza da questo mondo
“Partir c’est toujours mourir un peu!”. Partire è sempre morire un po’, dicono i francesi. Così – sebbene viviamo nell’era del totale progresso delle comunicazioni, nella quale le distanze quasi non esistono più – l’addio ad una persona cara fa sempre male al cuore. Molto più ancora in quei tempi dell’Impero Romano, nei quali i viaggi erano lenti, non c’era telegrafo, telefono né internet. Si aggiunga a questi dati il fatto che la destinazione alla quale andava il Divino Maestro non era un’altra città o paese, ma l’eternità.
Zelo e benevolenza, già prima di partire
Proprio per questo, Gesù si impegna a preparare in modo esimio i suoi seguaci alle conseguenze risultanti dalla sua andata definitiva al Padre.
“Non sia turbato il vostro cuore…”, era l’impegno zelante e pieno di benevolenza di Gesù per i suoi discepoli. E… “non abbiate timore”. Egli è estremamente affettuoso e vuole consolarli quanto può, facendo loro comprendere, “prima che avvenga”, gli enormi vantaggi provenienti dalla sua partenza da questo mondo.
Necessità dell’allontanamento di Gesù
Infatti, i discepoli, dopo un lungo tempo di intima e quotidiana comunione con Gesù, custodivano un’immagine ancora molto umana del Redentore. Per questo diventava necessaria la sua Ascensione al Cielo, tra le altre ragioni, affinché lo Spirito Santo infondesse loro la vera immagine riguardo al Figlio di Dio.
A questo proposito ci dice Sant’Agostino: “Se non si fosse allontanato da noi corporalmente, vedremmo sempre il suo Corpo in modo carnale, e non crederemmo mai in senso spirituale; giustificati e resi felici da tale fede, attraverso la purificazione del cuore possiamo meritare di contemplare quello stesso Verbo di Dio in Dio”.1
E in un’altra opera, dirà ancora lo stesso Vescovo di Ippona: “Ma il Signore sapeva che cosa era meglio per loro; sapeva che sarebbe stata meglio per loro la visione interiore con cui li avrebbe consolati lo Spirito Santo, il quale non avrebbe offerto ai loro occhi un corpo visibile, ma avrebbe realizzato la sua presenza nel cuore dei fedeli”.2
È di fronte alla prospettiva che Gesù la sciasse i suoi discepoli che la Liturgia di oggi affronta le più belle promesse da Lui fatte.
II – Il premio dell’amore: “e faremo in lui la nostra dimora”
23a “Se uno Mi ama…”
L’amore occupa un posto preminente nelle nostre relazioni con Dio. Gesù stesso ce lo dice: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti” (Mt 22, 37-38).
In vari altri passi, le Sacre Scritture insistono su questa legge dell’amore di Dio: “Amate con tutte le vostre forze Colui che vi ha creato” (Sir 7, 30). “Amate il vostro Dio per tutta la vostra vita e invocateLo affinché vi salvi” (Sir 13, 18). “L’amore è il pieno compimento della Legge” (Rm 13, 10).
Possiamo amare Dio in una forma imperfetta, cercando di piacerGli con l’obiettivo di ricevere il premio della gloria eterna ma questo amore è incompleto e frutto più specificamente della virtù della speranza, che della carità.
Per ricevere i doni promessi da Gesù nel Vangelo di oggi, è necessario amare Dio per il fatto di essere Lui e non solo in vista di ottenere la ricompensa riservata ai buoni.
23b “…osserverà la mia parola e…”
Con divina capacità di sintesi, il Salvatore deduce, subito dopo, una prima conseguenza di questo amore: la sottomissione alla voce di Dio.
Afferma Santa Teresina: “Per l’amore, niente è impossibile”. Il fuoco della carità ci abilita, infatti, a qualsiasi azione, rendendo facile la virtù dell’obbedienza, praticata da Gesù stesso in forma così esemplare.
Egli, durante i primi trent’anni della sua esistenza, è stato esemplarmente sottomesso a Maria e Giuseppe (cfr. Lc 2, 51). Ed è commovente seguire passo a passo le relazioni tra il Figlio e il Padre, nel corso della vita pubblica di Gesù. Non c’è un solo riferimento da parte sua in cui non traspaia la sua assoluta sottomissione: “Mio cibo è fare la volontà di Colui che Mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4, 34). “Sono disceso dal Cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che Mi ha mandato” (Gv 6, 38). Il Verbo Si è fatto carne, tra le altre ragioni, per insegnarci il valore incommensurabile dell’obbedienza.
Dalla Genesi all’Apocalisse, brillano gli esempi della pratica di questa virtù. Samuele ammonisce il re Saul: “Il Signore forse gradisce gli olocausti e i sacrifici come l’obbedienza alla voce del Signore? Ecco, obbedire è meglio del sacrificio, essere docili è più del grasso degli arieti” (I Sam 15, 22). San Paolo aveva consigliato agli Ebrei: “Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi (Eb 13, 17) o aveva ricordato nella sua Lettera a Tito di “esser sottomessi ai magistrati e alle autorità, di obbedire, di essere pronti per ogni opera buona” (3, 1). Anche Abramo è interamente disposto a immolare il suo unico figlio Isacco, al fine di compiere un mandato divino (cfr. Gen 22, 1-12). E che dire di Giobbe, di Tobia o della stessa madre dei Maccabei? E di Maria Santissima nel suo fiat?
L’obbedienza è, pertanto, una delle virtù più gradite a Dio, e di conseguenza, una delle più necessarie. San Bernardo e Sant’Agostino dicono che essa è indispensabile anche alla pratica della castità, poiché chi non si sottomette agli ordini e desideri del superiore, non riuscirà a reprimere la concupiscenza della carne. Per essere fedeli ai Comandamenti della Legge di Dio, è necessario avere flessibilità di spirito in relazione alla volontà dei nostri superiori.
23c “…il Padre mio lo amerà…”
Tuttavia, questo amore per Gesù non conferisce a chi lo possiede solamente la fedeltà ai divini insegnamenti. Da lui si origina un frutto molto più prezioso: “il Padre mio lo amerà”.
Se l’amore di Dio ci porta un così grande beneficio, cosa si potrà dire del fatto di esser oggetto del suo amore?
San Tommaso ci spiega, come sempre con magistrale lucidità, quanto grande è la capacità di diffusione del bene, per sua stessa natura.3 Quanto maggiore è la perfezione, più essa tende a comunicarsi pienamente. Dagli esseri più semplici, come i minerali, fino al soprannaturale, c’è una vera sinfonia del darsi in tutto l’ordine della creazione.
Corrono torrenziali i fiumi in cerca degli oceani, fertilizzando la terra in cui passano. E tanto le acque dolci dei laghi e dei fiumi, quanto quelle salate del mare, forniscono all’uomo alimento a profusione. Il Sole non cessa di far scendere i suoi calorosi ed essenziali raggi su tutta la Terra, dando luce e vitalità a tutto quanto si presenta davanti a lui. I vegetali con le loro sostanze, foglie, fiori e frutti, abbelliscono i panorami, profumano i boschi e giardini, ci danno il loro ossigeno e ci piacciono con i loro sapori. Le laboriose api producono il loro miele per l’alimento e la gioia degli uomini. Gli animali si moltiplicano e rendono piacevoli i nostri pasti e i nostri divertimenti e la nota predominante di questa grande sinfonia è sempre la sovrabbondanza.
Sul piano dell’umanità, il grado di comunicatività del bene è ancora maggiore. I pensatori, o gli artisti, desiderano invariabilmente dare ampia conoscenza di tutto quanto sorge dalle loro menti o dalle loro mani. Un’anima, quanto più si eleva nelle vie della virtù, più cresce nell’impegno a fare del bene agli altri.
Ora, Dio è il Bene per eccellenza, il Bene sostanziale, e per questo spetta anche a Lui comunicarSi alle creature in grado eccellente e pieno.4 Ecco il più elevato aspetto del mistero dell’Incarnazione, ossia, in Gesù, la sua privilegiata e santissima Anima e il suo sacro Corpo costituiscono una sola Persona con il Verbo Eterno. In Lui vi sono le proprietà umane e tutta l’essenza divina. In Lui, l’ amore del Padre è giunto a limiti infiniti e attraverso la fede ha messo alla portata degli uomini la pienezza del Bene, che è Dio stesso, secondo gli insegnamenti di Gesù a Nicodemo: “Infatti colui che Dio ha mandato proferisce le parole di Dio e dà lo spirito senza misura. Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio incombe su di lui” (Gv 3, 34-36). Più tardi Gesù aggiungerà: “Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in Lui abbia la vita eterna; Io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6, 40).
E subito dopo Gesù, nell’ordine dell’essere, e insieme con Lui sul piano divino ed eterno della creazione, si trova nel più alto grado di santità, come oggetto di questo amore efficace di Dio, la Vergine Maria. Ella è stata eletta per essere la Madre del Verbo Incarnato, per esser penetrata dal più eccellente amore di Dio nell’ordine delle pure creature e per esser la più amata dalla Trinità Divina.
23d “…e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”.
Nell’Antico Testamento non si era giunti a una chiara nozione dell’esistenza e dell’attuazione delle tre Persone Divine. In forma trasparente e senza margine di dubbio, questo mistero ci è rivelato dal Signore Gesù e riaffermato in formulazioni distinte dagli Apostoli (cfr. Mt 28, 19; II Cor 13, 13; I Pt 1, 2).
Nel Vangelo di questa 6ª Domenica di Pasqua, il Redentore fa menzione ancora una volta a questo mirabile mistero utilizzando la parola noi e promette, allo stesso tempo, di essere presente nell’anima di chi Lo ama e compie i suoi precetti. Così, dirà San Giovanni nella sua prima lettera: “Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (I Gv 4, 16); e San Paolo ai Corinzi: “Voi siete il tempio di Dio vivo” (II Cor 6, 16).
Come ha potuto Gesù promettere questa venuta su quelli che Lo amano e osservano la sua parola, quando in realtà Dio già si trova presente in tutte le sue creature?
Il Creatore, ci spiega San Tommaso, “è presente in tutte le cose e in maniera intima (et intime)”.5 O più specificamente: “Dio è in tutte le cose con la sua potenza perché tutte sono soggette alla sua potestà; vi è con la sua presenza perché tutto è scoperto e come nudo davanti ai suoi occhi; vi è con la sua essenza perché egli è presente a tutte le cose quale causa universale del loro essere”.6 Di fronte a ciò, come intendere questa promessa di Gesù?
Per nulla difficile!
La dipendenza di tutti gli esseri creati in relazione a Dio è assoluta, in quanto, oltre a ricevere da Lui l’esistenza, in essa sono costantemente sostenuti nella loro natura. Dio crea e conserva tutto quanto esiste, anche il demonio, così come lo stesso inferno. Ora, dove agisce un puro spirito, lì egli è presente. Pertanto, Dio è presente in ogni luogo.
Non è, però, a questa presenza che Gesù fa riferimento in questo versetto, ma a un’altra molto superiore, esclusiva dei figli di Dio, e che suppone sempre la grazia santificante (stato di grazia).
Si noti bene che si tratta qui di una presenza permanente, poiché Gesù parla di stabilire la dimora della Santissima Trinità nell’anima che Lo ama e osserva la sua parola. È una venuta del Padre e del Figlio – e, inseparabili come sono dallo Spirito Santo, anche da questi – spirituale e intima, come ci insegna Sant’Agostino: “Viene col suo aiuto, noi con l’obbedienza; viene illuminandoci, noi contemplandoLo; viene riempiendoci di grazie, noi ricevendole, affinché la sua visione non sia per noi qualcosa di esteriore, ma interiore, e il tempo della sua dimora in noi non sia transitorio, ma eterno”.7
Presenza intima di Dio, come Padre e come Amico
Con molta chiarezza e precisione teologica, il grande teologo padre Antonio Royo Marín, OP, ha riassunto l’essenza di questa inabitazione della Santissima Trinità nell’anima del giusto, affermata da Gesù in questo versetto: “Presenza intima di Dio, uno e trino, come Padre e come Amico. Questo è il fatto colossale che costituisce la stessa essenza dell’inabitazione della Santissima Trinità nell’anima giustificata dalla grazia santificante e dall’amore soprannaturale.
“Nel cristiano, l’inabitazione equivale all’unione ipostatica nella persona di Crsto, sebbene non sia essa, ma la grazia santificante, quella che ci costituisce formalmente figli adottivi di Dio. La grazia santificante penetra e impregna formalmente la nostra anima, divinizzandola ma la divina inabitazione è come l’incarnazione nelle nostre anime dell’assolutamente divino: dello stesso essere di Dio come è in se stesso, uno in essenza e trino in persone”.8
Queste sono le meraviglie dell’universo soprannaturale che, attraverso le virtù teologali, ci fanno seguire proficuamente le rivelazioni portate sulla Terra dal Verbo Incarnato: “…perché tutti siano una sola cosa. Come Tu, Padre, sei in Me e Io in Te, siano anch’essi in Noi una cosa sola. Io in loro e Tu in Me, perché siano perfetti nell’unità” (Gv 17, 21a.23a).
Dopo aver insegnato la grande importanza dell’amore per Dio, ossia, della perfetta carità, nei versetti successivi Gesù stimola i discepoli alla pratica delle altre due virtù teologali: la fede e la speranza.
III – Conclusione
Il Vangelo di oggi ci invita a questa impostazione di spirito. Gesù non è visibile tra noi, poiché, da due millenni, è salito al Cielo ma, con il Sacramento del Battesimo e con l’azione dello Spirito Santo, la sua figura è delineata nelle nostre anime e ci invita ad amarLo con esclusività. Le grazie ci sostengono in questo cammino. Tutta la nostra esistenza ruota intorno a due amori soli, poiché non ne esiste un terzo: l’amore di Dio che porta fino alla dimenticanza di se stessi, o l’amore di se stessi che porta alla dimenticanza di Dio.
Quale di questi amori è praticato dalla nostra epoca storica, e quali sono le relative conseguenze? Ecco una buona questione da considerare con tutta serietà in occasione dell’Ascensione del Signore al Cielo, da dove giudicherà i vivi e i morti, ossia, quelli che hanno amato e quelli che si sono rifiutati di amare.
1) SANT’AGOSTINO. Sermo CXLIII, c.4. In: Obras.
Madrid: BAC, 1958, v.VII, p.368.
2) SANT’AGOSTINO. In Ioannis Evangelium.
Tractatus XCIV, n.5. In: Obras. Madrid: BAC, 1957, v.XIV,
p.509.
3) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. III,
q.1, a.1; Somma contro i gentili. L.III, c.3, n.1.
4) San Tommaso ci insegna che l’amore di Dio è così
efficace che arriva a infondere il bene nella creatura
da Lui amata: “L’amore di Dio crea e infonde il bene”
(SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. I, q.20, a.2).
5) SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. I, q.8, a.1.
6) Idem, a.3.
7) SANT’AGOSTINO, apud SAN TOMMASO D’AQUINO.
Catena Aurea. In Ioannem, c.XIV, v.22-27.
8) ROYO MARÍN, OP, Antonio. Somos hijos de Dios.
Madrid: BAC, 1977, p.47-48.
Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” di Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.
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