Vangelo
32 “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo Regno. 33 Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei Cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma. 34 Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. 35 Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese; 36 siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa. 37 Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38 E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 39 Sappiate bene questo: se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40 Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell’Uomo verrà nell’ora che non pensate”. 41 Allora Pietro disse: “Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?” 42 Il Signore rispose: “Qual è dunque l’amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà a capo della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo? 43 Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro. 44 In verità vi dico, lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 45 Ma se quel servo dicesse in cuor suo: ‘Il padrone tarda a venire’, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, 46 il padrone di quel servo arriverà nel giorno in cui meno se l’aspetta e in un’ora che non sa, e lo punirà con rigore assegnandogli il posto fra gli infedeli. 47 Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; 48 quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più” (Lc 12, 32-48).
Basta pregare?
Una cassa senza lucchetto non vale niente, così un’anima senza vigilanza rimane in balia del nemico. Per questo Gesù insiste tanto su questa virtù, che deve essere sempre complementare all’autentica pietà.
I – Virtù della vigilanza
“Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione” (Mt 26, 41), ha detto il Signore ai tre Apostoli che più da vicino Lo seguivano nella preghiera, nella notte in cui sarebbe stato consegnato, nell’Orto degli Ulivi. Per quanto lo spirito sia pronto, la carne è debole, ha Egli affermato subito dopo.
Infatti, la Storia conferisce realtà a questa asserzione di Gesù: non poche anime perdono facilmente l’ardore e cadono nella debolezza, a volte persino in peccati gravi, per pura negligenza. A questo punto non è sufficiente la raccomandazione del Salvatore di essere vigilanti, perché come un nemico penetra attraverso una breccia sguarnita nelle mura di una fortezza, allo stesso modo il demonio spia i lati più deboli della nostra anima per attaccarci e sconfiggerci.
Su questo ci mette in guardia San Pietro: “Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare” (I Pt 5, 8).
Relazione con la prudenza
Questa vigilanza ha le sue radici nella virtù cardinale della prudenza. “La prudenza non si nasconde, ma veglia con una diligenza ammirevole, tale è la paura che ha di essere sorpresa dalle segrete insidie dei malvagi”.1
San Tommaso d’Aquino mette in chiaro che, se la prudenza è la virtù che regge la vita morale e spirituale dell’uomo, come pure quella esteriore ed umana, è chiaro che la vigilanza acquista un ruolo importante nella nostra vita spirituale e morale.2
Nella pratica di questa virtù andiamo incontro alla sollecitudine di Dio per la nostra perseveranza, poiché Egli invia i suoi Angeli a“custodirci in tutti i nostri passi” (Sal 91, 11). Dio “mantiene su di noi, instancabile e sollecito, quel singolare sguardo allerta della clemenza divina”.3
Zelo per la salvezza della stessa anima
Dio ha creato tutte le cose perfette e buone, non potendo procedere da Lui il male. Gli angeli ribellatisi al principio della creazione e gettati all’inferno da San Michele, furono coloro che già nel Paradiso Terrestre introdussero il male e, a tutt’oggi, cercano ancora di farlo penetrare nel fondo delle anime. “Colui che combatte Israele non dorme né sonnecchia. Ogni scopo, ogni preoccupazione delle milizie spirituali nella loro guerra contro di noi è quello di condurci e porci sul loro cammino affinché le seguiamo e ci conducano così al disastroso fine che è loro destinato”.4
Questa è una delle ragioni per le quali dobbiamo prenderci cura delle nostre anime in qualsiasi circostanza della nostra esistenza sia nella tranquillità della clausura di un convento contemplativo che nella più intensa delle attività del mondo.
Di qui il consiglio lasciato in eredità dalla nostra Dottore, Santa Teresina del Bambin Gesù: “Vi dedicate in eccesso alle vostre occupazioni; le vostre faccende vi preoccupano esageratamente. Ho letto tempo fa che gli israeliti costruivano le mura di Gerusalemme lavorando con una sola delle due mani, impugnando nell’altra la spada. Ecco qui un’immagine di quello che dobbiamo fare: lavorare soltanto con una mano, riservando l’altra per difendere la nostra anima dai pericoli che possano impedire l’unione con Dio”.5
I trattati di vita spirituale insistono su un punto di capitale importanza: evitare l’oziosità. “Erano soliti dire i Padri del deserto: Che il demonio ti trovi sempre occupato”. E raccontano che Sant’Antonio, abate, quando si lamentò che non riusciva a stare continuamente in preghiera, ricevette questa risposta dal Cielo: “Quando non puoi pregare, lavora”.6
Il brano del Vangelo della 19ª Domenica del Tempo Ordinario, che si svolge prendendo come punto di partenza tre parabole presentate da Gesù, è incentrato sulle considerazioni riguardanti la virtù della vigilanza.
L’esortazione contenuta in questi versetti di Luca si trova anche in Matteo e Marco. Questi ultimi la collocano al termine del “discorso escatologico”, mentre Luca, forse volendo accentuare il carattere morale della stessa, finisce per localizzarla in una sequenza differente.
II – Esortazioni di Gesù ai discepoli
32 “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto
di darvi il suo Regno”.
Subito dopo la parabola del ricco stolto, Luca concatena una serie di consigli del Divino Maestro sulla necessità di cercare prima – e soprattutto – il Regno di Dio e la sua giustizia, poiché, così procedendo, il resto ci sarà dato in aggiunta. Tuttavia, data la forza della nostra concupiscenza, i sensi rendono difficile la pratica di questi consigli, per quanto saggi essi siano. La dottrina convince, ma “la carne è debole”. Giustamente in questo punto si concentra il timore: come abbandonarci nelle mani della Divina Provvidenza? Da qui l’enfasi di questo “non temere”.
Il “piccolo gregge” dei prescelti
Inoltre è loro conferito l’appellativo di “piccolo gregge”, epiteto che con una certa frequenza incontriamo percorrendo le pagine dell’Antico Testamento, dato il carattere pastorale della società in questo lungo periodo storico.
Sul perché di questo appellativo dato ai discepoli, molteplici sono le ipotesi tra gli autori. Teofilatto così commenta: “Il Signore chiama piccolo gregge coloro che vogliono essere suoi discepoli, sia per il fatto che, in questa vita, i Santi sembrano piccoli, in virtù della loro povertà volontaria, sia per il fatto che sono superati dalla moltitudine di Angeli, il cui numero è incomparabilmente maggiore”.7
Beda analizza il suddetto appellativo sotto un altro punto di vista: “Il Signore denomina anche come piccolo gregge i prescelti, comparandoli col numero maggiore di reprobi o, meglio ancora, per il suo amore dell’umiltà”.8
In realtà, la Chiesa nascente era minuscola quanto a portata, numero e forza: Essa non era più grande di un granellino di senape. Quei pochi non avrebbero dovuto temere che venisse a mancare il necessario per la loro sussistenza, poiché il Padre, per effetto del suo amore gratuito, aveva loro concesso il suo Regno. Che Padre e che Regno! Si tratta dello stesso Dio e Sovrano Signore, onnipotente e assoluto, per il quale non esiste impedimento che Lo ostacoli nella determinazione delle sue volontà.
Non si tratta di un regno terreno: “Il mio Regno non è di questo mondo” (Gv 18, 36), ha detto Gesù a Pilato. Se fosse un regno di qualche parte della Terra, saremmo impazienti di riceverlo quanto prima e intraprenderemmo ogni sforzo per possederlo. Questo Regno è eterno e celeste, pertanto è indispensabile a questo “piccolo gregge” avere una pienezza di reciprocità in relazione a un così generoso Padre. Gesù ci dà la garanzia della sua parola assoluta: “Manifesta la ragione per la quale non devono temere, aggiungendo: ‘perché è piaciuto al Padre vostro’, ecc. Come se dicesse: ‘Come non potrà essere clemente con voi Colui che dà grazie così straordinarie?’. Anche se è piccolo questo gregge (per sua natura, il suo numero e la sua gloria), la bontà del Padre gli ha concesso il destino degli spiriti celesti, cioè, il Regno dei Cieli”.9
È bello il commento di Maldonado alla seconda parte di questo versetto: “Ognuna di queste parole ha un senso speciale e una particolare dolcezza. Dice ‘è piaciuto’, mostrando la particolare benevolenza e liberalità di Dio verso di loro; dice ‘al Padre vostro’, chiamando Dio padre loro, di modo che, in quanto padre, non può dimenticarsi dei suoi figli (cfr. Is 49, 15); aggiunge: ‘darvi’, come a figli ed eredi suoi, ‘il Regno’, ossia, il Regno celeste ed eterno, non quello terreno e temporale”.10
“Vendete ciò che avete”, un consiglio di Gesù
33 “Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che
non invecchiano, un tesoro inesauribile nei Cieli, dove i ladri
non arrivano e la tignola non consuma. 34 Perché dove è il vostro
tesoro, là sarà anche il vostro cuore”.
All’inizio del Cristianesimo, era comune che i primi fedeli seguissero alla lettera questo consiglio e, ancor oggi, si trovano alcuni casi in questa direzione. Ciò, nella sua essenza, mette l’accento su due punti:
In primo luogo, la nostra proprietà è costituita non solo da beni materiali o ricchezze, ma anche da ogni sorta di possibili appigli: scienza, erudizione, amicizia, comodità, piaceri leciti (e più intensamente quelli illeciti, quando ci abbandoniamo ad essi), ecc. Quanto più distaccato è il nostro cuore dagli oggetti terreni, sia quelli dello spirito che della materia, tanto più godremo della felicità nel tempo e incommensurabilmente di più nell’eternità.
Un secondo punto riguarda l’obbligatorietà, sì o no, di vendere quello che si possiede e fare elemosina. Potremmo a questo proposito sollevare, con Maldonado, la seguente questione: “Come mai qui Cristo fa vendere a tutti, in generale, quello che hanno per donarlo ai poveri, mentre in un altro passaggio (cfr. Mt 19, 21) consiglia ciò soltanto a coloro che vogliono essere perfetti? La risposta non è difficile: o qui Egli parla soltanto ai discepoli, i quali vorrebbero essere perfetti, oppure, se parla a tutti i cristiani, si riferisce alla disposizione di spirito, come dicono i teologi. Perché, sebbene non sia a tutti necessario vendere tutto quanto hanno, si deve, questo sì, come cristiano, avere la disposizione di spirito di vendere tutti i propri beni, se fosse necessario, per non perdere Cristo”.11
Dare in Terra per ricevere in Cielo
Ancora una parola sui benefici ricevuti da chi fa elemosina. Di per sé, ottiene più beneficio chi dà rispetto a chi riceve: “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere” (At 20, 35). “Non c’è peccato che l’elemosina non possa spegnere. Tuttavia, l’elemosina non si fa soltanto col denaro, ma anche con le opere, come quando qualcuno protegge un altro, quando un medico cura o quando un saggio consiglia”.12
La nostra ricchezza distribuita ai bisognosi, qui sulla Terra, ci deriva un inesauribile tesoro in Cielo. Le virtù praticate davanti a Dio per prestarGli culto e lode, le buone opere, i consigli dati agli altri, l’istruire, il pregare per gli afflitti e i bisognosi, come anche il fare elemosina, costituiscono un tesoro nel Cielo. In questa categoria si includono: l’invocazione ai Santi, la fiducia nella loro intercessione, l’assiduità ai Sacramenti, ed ogni atto di pietà e qualunque opera santa.
Volgere il cuore ai tesori eterni
Secondo i costumi dell’epoca, la borsa per le monete era di uso comune agli uomini e alle donne. Si trattava di pezze di tessuto che, nonostante fossero rinforzate, si potevano rovinare col tempo o essere danneggiate dalle tarme, mettendo così a rischio il contenuto. Ben peggiore era la situazione, quando l’abilità di qualche ladro faceva sparire queste borse dal loro posto abituale, per non ritornarvi mai più.
In forza della sua natura, l’uomo non può smettere di cercare la felicità, sia in questo mondo, che nell’eternità, dove si colloca l’obiettivo dei suoi desideri. Abbandonato alle inclinazioni della sua concupiscenza, egli si consegnerà alle voluttà della materia e in essa collocherà il suo cuore.
L’esempio di Maria
È stata Maria che, dall’interno della nostra natura, ha elevato la sua anima verginale a esaltare il Signore e a fare di Lui il suo tesoro. Dalla sua fedeltà è nata una nuova razza che San Luigi Grignion de Montfort denomina “la razza della Vergine”, razza questa che costituisce il calcagno della Sovrana Signora, chiamata a schiacciare la testa del serpente. Ella ci insegna a fare, di questa Terra, una scuola preparatoria per il Cielo, poiché i tesori conquistati qui periscono, sono vili, frequentemente ci degradano, ci affliggono e ci impoveriscono. La morte ce li strappa dalle mani, in maniera implacabile.
L’opposto accade con i tesori del Cielo: essi ci nobilitano, consolano e ci assicurano un’eternità felice. La stessa morte ci concede il possesso irreversibile di questi beni.
III – “Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese”
35 “Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese; 36 siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa. 37 Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38 E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!”
Senza un’illazione molto precisa, San Luca passa a riprodurre due parabole affini quanto alla loro sostanza. La prima di queste è contenuta in questi quattro versetti. Entrambe sono precedute da un’incisiva raccomandazione del Divino Maestro: la necessità di mantenere la cintura ai fianchi, come anche di conservare accese le lanterne.
Simbolismo dell’atto di mettersi la cintura e delle lucerne accese
Come ci descrivono le stesse Sacre Scritture (cfr. Es 12, 11), gli ebrei – ed in genere gli orientali – cercavano per mezzo di una cintura intorno alla vita, di raccogliere un poco le loro lunghe tuniche, sia per poter camminare con più disinvoltura, sia per facilitare il servizio a tavola.
Tuttavia, la conoscenza di questi costumi solleva una perplessità per la perfetta comprensione del significato del simbolismo delle figure utilizzate dal Salvatore, in questo passaggio: perché i servitori si devono porre in situazione di viaggio se stanno soltanto aspettando il ritorno del signore della casa? Inoltre, qual è la ragione di trovarsi disposti a servire a tavola quando il signore sarebbe tornato soddisfatto di quello che avrebbe mangiato alla festa?
Queste difficoltà sono completamente superate dalla vera spiegazione dei particolari dei costumi orientali di quei tempi. Come già abbiamo visto in precedenza, essi usavano tuniche molto ampie che arrivavano fino ai piedi. Ora, per camminare o per il servizio, era indispensabile raccogliere le estremità della veste, trattenendola e rendendola più corta mediante una cintura ben aggiustata alla vita.
Questo cingersi la vita inoltre faceva parte anche del buon contegno ed educazione, soprattutto per ricevere o servire qualcuno di categoria superiore. Nella propria casa, nell’intimità familiare, si poteva stare a proprio agio, facendo a meno di usare il turbante, le calzature e anche la cintura. L’essere scalzi, senza copricapo e, soprattutto, con vestiti liberi, era la nota comune dell’intimità, della spensieratezza ed anche del rilassamento. Ora, è proprio questa la nota sconveniente da ostentare davanti al signore che torna dalla festa.
Quanto alla figura delle lucerne, diventa facile la loro comprensione se pensiamo alla parabola delle vergini sagge e delle vergini stolte (cfr. Mt 25, 1-13). “Quando il padrone di casa arriva di notte, i servitori costumano andargli incontro con le lucerne accese. Così Cristo vuole che facciamo anche noi. Le torce accese significano che dobbiamo avere tutto preparato per ricevere Cristo nel giorno del Giudizio, in modo da non avere niente da mettere in ordine in quell’occasione. Ci sarà una cosa più semplice del fatto di accendere, quando il padrone batte alla porta, la luce necessaria? Ora, persino questo vuole il Signore che sia già fatto prima del suo arrivo. Infatti, oltre al fatto che lui non aspetterebbe fino a che l’altro avesse acceso la torcia, questa attesa sarebbe indecorosa e inadeguata alla dignità del padrone di casa”.13
L’arrivo del Signore
A seguire comincia la prima parabola, propriamente detta. Nei suoi dettagli si capisce che oltrepassa la realtà. Si tratta di un’allegoria, poiché, per ricevere il signore, non era necessario che tutta la servitù restasse sveglia. Tanto più che è sempre nota l’ora di uscita per una festa, ma non quella del ritorno, che peraltro avviene solitamente a tarda ora.
In un rapporto umano normale non succederebbe mai un fatto come quello descritto nei versetti sopra. Nessun signore esigerebbe dai suoi servi – neppure a quei tempi – di aspettare, svegli, il suo ritorno da una festa. Tutt’al più – e qui si capisce – il portinaio. Inoltre, trovando tutti svegli, dopo un saluto, ordinerebbe di andare a dormire, mai li metterebbe a servire a tavola, soprattutto in ore così tarde.
Davanti a questa pluralità di stranezze, si capisce chiaramente che queste eccezioni si possono verificare soltanto sul piano soprannaturale della grazia di Dio: “Sarò Io stesso la tua ricompensa molto grande” (Gen 15, 1). “Il significato vero e completo è che se, giungendo, Cristo ci trova vigili e preparati alle buone opere, Egli ci renderà come signori in Cielo, poiché mangeremo e berremo come tali nella mensa del suo Regno”.14
L’insistenza su una possibile seconda o terza venuta del signore mira, evidentemente, a rinforzare la grande necessità di restare vigili.
Necessità della vigilanza
39 “Sappiate bene questo: se il padrone di casa sapesse a che ora
viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa”.
Il versetto non ci pone nessuna difficoltà di interpretazione, perché ogni ladro cerca un’occasione facile per la sua azione e non desidera essere scoperto. Di fronte a questa prerogativa, il padrone di casa, sapendo l’ora in cui avverrebbe il furto, starebbe all’erta per impedirlo. Così anche noi, pervasi dalla certezza che il Giudizio Supremo verrà, ma non sapendo in quale momento, dobbiamo restare vigili ininterrottamente per non essere colti di sorpresa al suo arrivo.
40 “Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell’Uomo verrà
nell’ora che non pensate”.
I servitori vigili ci offrono la conoscenza del premio immeritato che ci aspetta se, proprio come essi hanno fatto, procediamo anche noi, amando illimitatamente il Signore, e se in ragione di questo amore rispettiamo la sua parola ed osserviamo i suoi comandamenti. Quando tornerà il Salvatore, Egli ci servirà. D’altra parte, il maestro vigile ci incita a stare attenti per evitare il nostro incontro col Signore in una circostanza sfavorevole, per mancanza di vigilanza. Sono due consigli armonici e fondamentali.
Il Signore verrà. È assolutamente certa la sua venuta. Per questo: “Voi, dunque, siate preparati perché, nell’ora in cui meno ve lo aspettate, verrà il Figlio dell’Uomo”. Potrà essere, pertanto, in un giorno inatteso; in un’età nella quale non ci sarà nulla da temere, quando i grandi progetti si moltiplicheranno e chissà, piena di piaceri, realizzazioni, affari…
Niente di meglio per ottenere un’instancabile, forte e continua vigilanza che ricorrere alla Madre di Misericordia. Se anche così ci succedesse di sbagliare, Ella ci otterrebbe il perdono delle nostre miserie.
IV – La parabola dell’amministratore fedele
Nei versetti finali, rispondendo ad una domanda di Pietro che desiderava sapere se la parabola era esclusivamente per loro o per tutti, il Divino Maestro ne elabora un’altra, quella dell’ “amministratore fedele e saggio”. Diventa chiaro il carattere universale del suo insegnamento e quanto esso si applichi a chiunque fra noi. Basti considerare da vicino l’incertezza sull’ora della nostra morte, per renderci conto dell’enorme importanza della virtù della vigilanza.
Obblighi di chi ha autorità su altri
Nel far uso dell’immagine dell’amministratore, Egli vuole rappresentare coloro che hanno qualche autorità o potere su altri. L’applicazione ricadeva direttamente su Pietro e gli Apostoli, che avrebbero ricevuto nelle loro mani l’istituzione della Chiesa e avrebbe anche riguardato i genitori, i tutori, ecc.
In questi versetti, il punto di vista continua ad essere quello della vigilanza, ma ora con un’altra nota caratteristica: quella della prudente fedeltà. Il primissimo obbligo dell’amministratore è quello di non appropriarsi di nessuno dei beni che il signore gli ha affidato e di non cercare il suo piacere, la sua gloria e la sua volontà, quanto piuttosto il puro interesse del suo signore. In secondo luogo, deve essere prudente, discernendo con senso della gerarchia come distribuire i lavori in proporzione al talento e alle forze di ognuno. Inoltre, dovrà provvedere alle necessità di tutti, offrendo loro i mezzi, le istruzioni, il sostentamento, ecc., per il disimpegno delle rispettive funzioni.
Procedendo con questo amore della perfezione, l’autorità, nell’incontrare il suo signore, oltre alla beatitudine, riceverà l’amministrazione di tutti i suoi possedimenti.
Il castigo dell’amministratore infedele
Quanto all’amministratore infedele, sempre usando toni irreali, il Divino Maestro cerca di delineare la principale causa delle sue colpe: la dimenticanza del fatto di appartenere ad un signore e che questo ritornerà, o allora, il convincersi che il suo padrone non tornerà tanto presto. Di qui i maltrattamenti, l’ingiustizia, l’abbandonarsi alla gola e ai disordini. Costui sarà pure sorpreso dal signore e da lui sarà castigato con la separazione eterna…
A seguire tratta della proporzionalità dei castighi, mostrando come, per giustizia, “a chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto”. Particolarmente in questo si concentra la risposta offerta dal Maestro a San Pietro, la cui sostanza fa temere e tremare quasi a tutti i Santi… Quanti di loro non hanno cercato una via penitenziale, in base alla considerazione di queste divine parole!
Su questo passaggio, commenta il Cardinal Gomá: “Come nell’altra vita non c’è uguaglianza di premi, allo stesso modo non c’è uguaglianza di castighi, dice San Basilio. Saranno condannati alle fiamme tutti coloro che le avranno meritate, alcuni, tuttavia, le soffriranno in modo più intenso di altri; tutti saranno rosi dal verme inestinguibile, ma questo sarà più vigoroso o più indolente. Per questo, dice Teofilatto, i saggi e dottori, che avrebbero dovuto agire concordemente alla dottrina e da questa trarre incentivo per gli altri, saranno tormentati con maggior rigore. Questo pensiero dovrebbe farci tremare, se Dio ci ha favorito con doni di privilegio nella conoscenza della sua volontà, o ci ha concesso grazie straordinarie, o ci ha conferito poteri ordinarie, o ci ha conferito poteri per comunicare agli altri la sua volontà”.15
Che la Liturgia di oggi ci convinca profondamente della grande necessità di essere diligenti nella preparazione del nostro incontro con il Signore, che potrà verificarsi nel momento meno atteso. Facciamo dunque un buon uso del nostro tempo, parole e azioni. In sintesi, che noi siamo sempre santi.
1) SANT’AGOSTINO. De moribus Ecclesiæ, c.24. In: Obras.
Madrid: BAC, 1956,v.IV, p.317.
2) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. II-II.
q.47, a.9.
3) SAN BERNARDO. Sermo XI in psalmum XC, n.1.
In: Obras completas. Madrid:BAC, 2005, v.III, p.551.
4) Idem, ibidem.
5) SANTA TERESA DI LISIEUX. Conseils et souvenirs.
Lisieux: Office central de Lisieux, 1954, p.74.
6) RODRÍGUEZ, SJ, Afonso. Exercício de perfeição e virtudes
cristãs. Lisboa: União gráfica, 1950, p.82.
7) TEOFILATTO, apud SAN TOMMASO D’AQUINO. Catena Aurea.
In Lucam, c.XII, v.32-34.
8) SAN BEDA, apud SAN TOMMASO D’AQUINO, Catena Aurea, op. cit.
9) SAN CIRILLO DI GERUSALEMME, apud SAN TOMMASO D’AQUINO, Catena
Aurea, op. cit.
10) MALDONADO, SJ, Juan de. Comentarios a los Cuatro Evangelios.
Evangelios de San Marcos y San Lucas. Madrid: BAC, 1951, v.II,
p.597-598.
11) Idem, ibidem.
12) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, apud SAN TOMMASO D’AQUINO, Catena
Aurea, op. cit.
13) MALDONADO, op. cit., p.600.
14) Idem, p.603.
15) GOMÁ Y TOMÁS, Isidro. El Evangelio explicado.
Evan-Años primero y segundo de la vida pública de Jesús.
Barcelona: Acervo, 1967, v.II, p.194.
Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” di Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.
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