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Immagine del redattoreMadonna di Fatima

XXII Domenica del tempo ordinario – Anno B


Cristo discute con i farisei

Vangelo


In quel tempo, 1 si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. 2 Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – 3 i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi 4 e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, 5 quei farisei e scribi Lo interrogarono: “Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?” 6 Ed Egli rispose loro: “Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: ‘Questo popolo Mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da Me. 7 Invano Mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini’. 8 Trascurando il Comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini”. 14 Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: “AscoltateMi tutti e comprendete bene! 15 Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro”. E diceva [ai suoi discepoli]: 21 “Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, 22 adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. 23 Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo” (Mc 7, 1-8.14-15.21-23).


Dov’è il mio cuore?


Di fronte all’ipocrisia farisaica, il Divino Maestro dimostra che l’uomo non si definisce per le esteriorità, ma per le intenzioni del cuore.


I – Qual è il comportamento all’altezza della vita divina?


Tutti noi nasciamo in peccato, come nemici di Dio e oggetto della sua ira (cfr. Ef 2, 3), ma, chiamati a ottenere il possesso della visione beatifica, siamo stati elevati – a fianco degli Angeli – alla vita divina. Vita talmente superiore a quella semplicemente naturale, che la grazia – per la quale a essa partecipiamo – appartiene al sesto piano della creazione, molto al di sopra dei minerali, dei vegetali, degli animali, degli uomini e persino degli Angeli. È Dio stesso che prende l’iniziativa di introdurla in noi attraverso il miracolo straordinario del Battesimo che ci fa suoi figli. Quando il sacerdote versa acqua sul nostro capo e dice “Io ti battezzo in nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo”, smettiamo di essere meri animali razionaliper diventare esseri divini, con le virtù della fede, speranza, carità, prudenza, giustizia, fortezza, temperanza, e tutti i doni dello Spirito Santo infusi nell’anima.


Battesimo

Nella Liturgia della 22ª Domenica del Tempo Ordinario troviamo stimoli, inviti, e chiarimenti riguardo a questa vita, per poter meritare di arrivare alla sua pienezza, passando dal tempo all’eternità.


La vita soprannaturale: dono del “Padre, creatore della luce”


Nella seconda lettura (Gc 1, 17-18.21b-22.27) insiste San Giacomo: “Ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce” (1, 17a). Non c’è dono più perfetto di questa vita soprannaturale! Tre sono le creature che hanno “fino a un certo punto infinita dignità”,1 poiché Dio non poteva farle più eccellenti: Gesù Cristo Uomo, Maria Santissima e la visione beatifica; quest’ultima già la possediamo in germe, in questo mondo, attraverso la grazia.


Dio Padre Dio Padre

Il “Padre, creatore della luce, presso il quale non c’è variazione né ombra di cambiamento” (Gc 1, 17b) perché è l’Essere Assoluto, “per sua volontà ci ha generati per mezzo della Parola di verità, per essere una primizia delle sue creature” (Gc 1, 18). Sì, Egli ci ha generato per la vita divina attraverso il suo Verbo, che Si è incarnato affinché tutti abbiamo vita in abbondanza (cfr. Gv 10, 10). Per questo dobbiamo ricevere con umiltà la Parola di Dio, che è capace di salvare le nostre anime (cfr. Gc 1, 21b).


Tuttavia – continua San Giacomo – “siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi” (1, 22); cioè, non basta conoscere la dottrina, è necessario rispettare le leggi della vita soprannaturale, apprendendo a comportarci in modo differente, affrontando le inclinazioni che sbocciano in noi a causa del peccato originale, e vincendole per ottenere il premio promesso. In questo consiste la prova che tutti attraversiamo, durante il nostro passaggio sulla Terra. Per mantenere la filiazione divina è indispensabile che sviluppiamo la vita della grazia, compiendo la Parola. Per questo, ammonisce ancora San Giacomo, è necessario, “non lasciarsi contaminare da questo mondo” (1, 27). Il mondo, infatti, ha una visione carente di soprannaturale.


A sua volta, il Salmo Responsoriale è molto istruttivo quando chiede: “Signore, chi abiterà nella tua tenda? Chi dimorerà sul tuo santo monte?” (Sal 14, 1). Come se dicesse: chi conviverà con Te, o Dio? Chi starà eternamente in tua compagnia? Chi godrà della tua stessa felicità? Chi Ti vedrà faccia a faccia? Chi parteciperà ai tuoi beni? E prosegue il salmista: “Colui che cammina senza colpa, pratica la giustizia e dice la verità che ha nel cuore” (Sal 14, 2), ossia, chi ama la santità e la mette in pratica.


Per entrare nella Terra Promessa, Israele deve abbracciare lo spirito soprannaturale


Nella prima lettura (Dt 4, 1-2.6-8) incontriamo Mosè dopo che ha realizzato grandi meraviglie col potere di Dio. Egli aveva liberato il popolo ebreo dalla schiavitù dell’Egitto e, alzando il suo vincastro, aveva diviso le acque del Mar Rosso affinché gli Israeliti lo attraversassero fino all’altra sponda, a piedi asciutti (cfr. Es 14, 21-22). In seguito, di fronte alla tremenda minaccia delle truppe egizie che erano giunte per catturarli e riportarli indietro – in quanto il Faraone si era pentito di averli lasciati partire –, egli aveva nuovamente alzato il braccio e le acque si erano unite, inghiottendo tutto l’esercito nemico (cfr. Es 14, 27-28).


Gli Israeliti prendono l’acqua miracolosa

Seguirono quaranta anni nel deserto, durante i quali Mosè cavò acqua dalla pietra, Dio fece scendere dal cielo la manna e venire quaglie sopra l’accampamento degli Israeliti per alimentarli (cfr. Es 17, 1-6; 16, 4-31), e fece altri miracoli stupendi. Quattro decadi di educazione e apprendistato per quel popolo, e anche di castigo, per aver praticato il male! Nonostante queste infedeltà, Dio non viene meno alla sua promessa; al contrario, Egli la compie, consegnando loro la Terra Promessa.


Giunta l’ora di entrarvi, si tratta che il popolo restituisca il bene già ricevuto, come quello che avrebbe ancora dovuto ricevere. In cosa consiste questa reciprocità? Ecco l’insegnamento della lettura: nell’abbracciare lo spirito soprannaturale e osservare la condotta morale e religiosa prescritta da Dio, con l’intento di stabilire una relazione tra Lui e il popolo. I decreti che il profeta trasmette manifestano la superiorità della nazione eletta dal Signore “agli occhi dei popoli” (Dt 4, 6) e sono, secondo il linguaggio dello stesso Mosè, “giusti” (Dt 4, 8). Sì, perché, come indica San Paolo, questa Legge educava gli Ebrei a giungere fino a Nostro Signore Gesù Cristo ed essere giustificati dalla fede in Lui (cfr. Gal 3, 24).


Senza la Legge di Dio non c’è partecipazione alla vita divina


Mosè

Ora, il vero spirito dei precetti positivi della Legge Mosaica era sintetizzato nel Decalogo, che definisce il comportamento che dobbiamo avere per essere simili al Creatore. Queste semplici leggi riassumono, in modo eccellente, in cosa consiste l’esercizio della vita divina nelle nostre anime e ci rendono adeguati a lei.


Senza l’osservanza dei Dieci Comandamenti non si partecipa alla vita di Dio, poiché, a partire dal momento in cui è commesso un peccato grave, per la trasgressione di uno di questi, si perde la grazia santificante e l’inabitazione della Santissima Trinità nell’anima, tornando questa a esser schiava del demonio. “Il peccato mortale è l’inferno in potenza. È, infatti, come un collasso istantaneo della nostra vita soprannaturale, un vero suicidio dell’anima alla vita della grazia”.2


Ma la natura umana è profondamente logica: quando l’uomo, trascinato dalle sue cattive inclinazioni, vuole praticare il male, ancor prima di perpetrarlo egli inventa un ragionamento per giustificare il suo atto. E, a poco a poco, crea un’altra religione, con una morale diversa, indipendente dalla Legge di Dio. Questa è la tendenza che, sotto il manto di fedeltà agli insegnamenti di Mosè, vedremo ritratta nel Vangelo di questa domenica e smascherata da Nostro Signore Gesù Cristo.


II – Hanno divinizzato le leggi umane, e hanno umanizzato le Leggi divine


In quel tempo, 1 si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.


L’Evangelista San Marco è molto positivo, affermativo e categorico. In quanto discepolo di San Pietro, e accompagnandolo spesso, poteva confermare la malvagità dei farisei che, del resto, conosceva già anche troppo, essendo lui stesso giudeo. Per questo s’impegnò a trascrivere le discussioni di Gesù con loro, sia che gli fossero state raccontate da San Pietro, sia che ne fosse stato testimone. Nella scena raccolta dalla Liturgia di oggi, egli narra come gli scribi e farisei di Gerusalemme – ossia, quelli che più frequentavano il Tempio – siano andati da Nostro Signore. Non era per rimanere incantati da Lui che Lo seguivano; venivano con l’obiettivo di studiare le sue azioni e trovare qualche pretesto per poterLo condannare.


Tradizioni umane che deviavano dalla Legge di Dio


2 Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – 3 i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi 4 e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –…



Ebrei pregano nella sinagoga nel giorno del Yom Kippur

Gli scribi e farisei erano estremamente minuziosi e attenti ai dettagli nel compimento di una serie di costumi antichi, giungendo a volte a esagerazioni ridicole. Queste norme, bisogna dire, non facevano parte della Legge di Mosè, poiché erano state trasmesse per tradizione, ma, per loro, avevano valore di dogmi, superiori anche a quelle della Rivelazione.


Il dotto padre Bonsirven così si dilunga su questo punto: “La legge orale è presentata all’inizio come il recinto con cui si circonda la Torah [la Legge di Mosè], per precisare quello che in essa è molto vago o molto ampio, e assicurare un’osservanza più esatta. Questa via, tuttavia, era molto pericolosa: a forza di riempirsi di nuove prescrizioni, il recinto finiva per diventare soffocante; […] le nuove puntualizzazioni, che incessantemente restringono il terreno dove era possibile muoversi liberamente, le deduzioni e assimilazioni infinite che ampliano gli obblighi e moltiplicano le interdizioni, sottomettendo al precetto i minimi oggetti e introducendo minuzie che la Legge non prevedeva né voleva, non smettono di ingrossare ed alzare il recinto, stringendo e legando l’israelita con una profusione di regole”.3


In concreto, l’origine delle prescrizioni di purificazione risaliva all’esigenza divina per cui gli Israeliti non si mescolassero con i popoli idolatri, per non essere attratti dalle loro false religioni (cfr. Es 34, 12-16). A poco a poco, tuttavia, “quello che all’inizio era servito per esprimere la santità di Dio e del suo popolo si trasformò in un giogo insopportabile, e quello che era un mezzo di protezione diventò un cappio per le anime”.4


Una teologia erronea


Infatti, i farisei finirono per inventare una teologia di “universo chiuso”, con la quale dividevano la creazione in due grandi categorie: la prima era quella delle cose pure, quelle attinenti direttamente al culto; la seconda, vastissima, comprendeva le restanti cose, ritenute da loro impure.5 Concezione assolutamente errata, poiché implicava di affermare che Dio aveva creato solo alcuni esseri che avessero relazione con Lui, e tutto il resto fosse autonomo, senza alcun vincolo con il Creatore.6


Utensili da tavola, di Francisco de Zurbarán

Per questo consideravano indispensabili le abluzioni e i bagni dopo il contatto corporale con tutto quello che non fosse puro, poiché, a loro modo di vedere, l’uomo rimaneva macchiato. Chi comparisse, infatti, a un funerale e toccasse il defunto, o anche chi attraversasse un cimitero e si accostasse a una tomba, era obbligato a purificarsi.7 Tazze, ciotole e vasi erano lavati fuori, per non inquinare le mani di coloro che li utilizzasse.8 Tale particolare costituiva un vero controsenso, visto che, per igiene, questi oggetti dovevano soprattutto essere puliti dentro; ma il problema per loro consisteva nella possibilità di prenderli senza rischio di contaminazione.


In un certo senso si comprende come essi cadessero in questo errore, visto che il punto di partenza del loro ragionamento era valido. Infatti, mentre gli Angeli, puri spiriti, non hanno necessità di vedere, udire, degustare, toccare o sentire gli odori, perché hanno una conoscenza intuitiva, la creatura umana, composta da corpo e anima, acquista la conoscenza attraverso i sensi, pertanto, ha bisogno di un simbolo esteriore per giungere alle conclusioni e comprendere bene le realtà interiori. Gli stessi Sacramenti sono costituiti da materia e forma in modo da essere più accessibili alla nostra natura. La materia del Battesimo, per esempio, è l’acqua – utilizzata sempre per pulire –, di modo che, quando viene versata sul capo del battezzando, significa e realizza la purificazione completa dell’anima.


Ora, i farisei avevano esacerbato questa inclinazione naturale dell’uomo fino all’inconcepibile, ed era inevitabile che delle abitudini consolidate in modo così arbitrario, e non per amore a Dio, arrivassero all’assurdo. Per citare una di queste, nel trattato Yadaim, dedicato alle mani, si trova descritto come effettuare il meticoloso rituale della loro purificazione, dopo che avevano toccato “indebitamente” le cose impure. Si noti, però, che non si tratta di una questione di mani sporche o pulite, ma di mani legalmente impure secondo i concetti farisaici: “Le mani sono pure o impure fino all’articolazione. Si versa la prima acqua fino all’articolazione e la seconda più in là, tornando alla mano, è puro. Se le due abluzioni sono fatte oltre l’articolazione, ritornando alla mano, è impuro. Se la prima [abluzione] è fatta sopra una mano, e dopo, cambiando intenzione, sopra le due mani, è impuro. Se la prima [abluzione] si fa sopra le due [mani], e dopo, cambiando intenzione, su una sola, è puro. Se una mano è lavata e si strofina nell’altra, è impuro. Se essa si strofina sul capo o sulla parete, è puro”.9


Gesù non obbliga a precetti umani


5 …quei farisei e scribi Lo interrogarono: “Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?”


Nostro Signore discute con i farisei

È curioso notare come gli scribi e farisei non attacchino il Divino Maestro in maniera diretta, perché probabilmente Egli osservava queste imposizioni tradizionali, per evitare che si parlasse male di Lui. Giunta l’ora del pasto, lavava le mani e compiva il precetto, visto che era un costume acquisito. Nel contempo, permetteva che altri – in questo caso, alcuni degli Apostoli – lo infrangessero, infatti queste minuzie e dispute costituivano una sorta di legge terrena che Lui, certamente, criticava e rispetto la quale promuoveva un agere contra, per facilitare che i suoi discepoli, lungi dall’aggrapparsi a norme umane e dal volerle trasformare in divine, dimenticandosi di Dio, ascendessero, questo sì, dalle creature al Creatore.


Ciò nonostante, riguardo alla Legge consegnata da Lui stesso a Mosè sul Monte Sinai, Nostro Signore non dava libertà di seguirla o no, dato che essa è eterna. I Dieci Comandamenti non possono subire cambiamento alcuno, sono fissi e perenni, e devono esser praticati fino alla fine del mondo da tutti gli uomini e donne, senza adattamenti alle convenienze del momento; quanto agli altri precetti della Legge Mosaica, Egli non è venuto “ad abolire, ma a dare pieno compimento” (Mt 5, 17). Sono stati superati perché “sopraggiunta la fede [in Gesù Cristo], non siamo più sotto un pedagogo” (Gal 3, 25). È quello che spiega Sant’Ireneo, con molta chiarezza: “quei precetti che comportavano servitù ed erano solo segni sono stati revocati nella libertà del Nuovo Testamento. Mentre i precetti naturali propri di chi è libero, e che sono comuni a tutti, sono stati rinforzati e aumentati, dando agli uomini, in abbondanza, il dono di conoscere Dio come Padre per adozione, di amarLo con tutto il cuore e, senza deviazioni, di seguire il suo Verbo”.10 E commenta ancora lo stesso Santo: “Le parole del Decalogo […] permangono tra noi, allargate e ampliate, ma non annullate in occasione della sua venuta carnale”.11


Lo spirito del mondo


6 Ed Egli rispose loro: “Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: ‘Questo popolo Mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da Me. 7 Invano Mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini’. 8 Trascurando il Comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini”.


La risposta di Gesù non significa una disapprovazione alla pratica di lavarsi le mani prima di mangiare. Questo lo facciamo anche noi oggi, per igiene, senza attenerci a una legge temporale che ci imponga modi di essere mondani. Se, però, ci fosse un decreto per procedere così per amore di Dio, esso sarebbe legittimo.


Quelli che amano il mondo – come i farisei – sono portati a dare più attenzione ai principi della convivenza sociale che alla Legge di Dio, perché, in pratica, vivono come se Dio non esistesse. E, a volte, certe leggi umane, contrarie alla Legge divina, le osservano con una precisione assoluta. Per queste persone il fine ultimo della vita si compie qui sulla Terra e, alla fine, la paga che ricevono si riduce al concetto che gli altri si sono fatti a loro riguardo.


Dobbiamo fare attenzione, nella nostra quotidianità, a non dare più importanza all’opinione degli altri che a quella di Dio. Che ci importi, soprattutto, il suo giudizio su di noi! Immensamente seria è la sua Legge e trasgredirla arreca conseguenze terribili. Quando uno infrange una legge del traffico, viene punito con una multa; ma se per sfortuna viola un Comandamento divino, può vedere le porte del Cielo chiudersi davanti a sé e andare all’inferno per tutta l’eternità!


L’orribile difetto dell’ipocrisia


Per questo motivo Gesù Si sollevò contro i farisei e li redarguì, applicando a loro la frase di Isaia: “Questo popolo Mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da Me. Invano Mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Ossia, era meramente umano il loro impegno a osservare, in forma meticolosa, una serie di regole esterne. Malgrado agissero così per una supposta ragione religiosa e lodassero il Signore con le labbra, il loro cuore era lontano da Lui. Sbagliavano, dunque, a praticare una devozione di apparenza, bastando loro quelle abluzioni per rimanere soddisfatti e ritenersi liberi da qualsiasi impurità, senza preoccuparsi dei vizi che macchiavano la loro anima. Mentre in cuor loro conservavano tutto quello che Gesù enumererà più avanti – “i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità”, tra le altre cose –, essi sostenevano l’idea che l’intimo dell’uomo – soprattutto se era un fariseo – di per se stesso era puro, e supponevano di trovare nelle esteriorità la tranquillità di coscienza e la soluzione per coprire questi difetti di spirito. Per questo il principale titolo che ricevettero dal Salvatore fu quello di “ipocriti”!


L’ipocrisia è un difetto orribile – molto più comune di quanto pensiamo! –, per cui vi è una dissociazione tra le parole e gli atteggiamenti di una persona e ciò che pensa o vuole. L’ipocrita assomiglia al “padre della menzogna” (Gv 8, 44), perché questo è proprio il modo di essere del demonio: si presenta con parole molto attraenti, dando l’impressione di voler fare il bene, ma le sue intenzioni sono pessime.


Sebbene non facciano parte del Vangelo di questa domenica, i versetti da 9 a 13 rendono ancor più comprensibile questo insegnamento del Divino Maestro: “Siete veramente abili nel rifiutare il Comandamento di Dio, per osservare la vostra tradizione” (Mc 7, 9). Infatti, i farisei arrivarono a trasformare queste norme, che avrebbero dovuto mirare al soprannaturale, in una specie di idolatria. Stracciarono gli autentici precetti morali e crearono una religione propria, differente da quella vera, totalmente sprovvista di carattere religioso e separata da Dio, perché poggiava su dettami mondani, determinati dalla vita sociale dell’epoca. Divinizzarono la legge umana; desacralizzarono e umanizzarono la Legge divina!


In seguito Gesù citò un esempio (cfr. Mc 7, 10-13) per mostrare come distorcevano la Legge, svuotandola del suo contenuto e falsando i costumi che su di essa si basavano: i farisei, poiché erano avari, ricorrevano a uno stratagemma in maniera da potersi tenere il denaro che, in funzione del Quarto Comandamento del Decalogo, ogni figlio ha l’obbligo di usare per assistere i genitori nella vecchiaia, contribuendo alla loro sussistenza. Invece di dare ai genitori la somma necessaria al loro sostentamento, i farisei la consacravano come offerta a Dio e si consideravano liberi da quel dovere filiale.


Per mezzo di un enigma, Gesù chiama le folle a Sé


14 Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: “AscoltateMi tutti e comprendete bene! 15 Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro”.


Gesù chiamò la folla presso di Sé, perché essa si era allontanata e si trovava quasi dispersa. Sicuramente questa dispersione proveniva da una formazione religiosa carente. Quante volte le persone sono più interessate ai loro problemi concreti, anche quando hanno il Salvatore stesso davanti a sé!


Per attirare l’attenzione delle folle, Egli buttò lì, molto alla maniera orientale, una sorta di enigma: “Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro”. C’è da supporre che subito si alzasse un vocio, una discussione per tentare di scoprire quale fosse il significato di quella frase. Tuttavia, non la risolsero… Solo più tardi, stando in casa, i discepoli Lo interrogarono riguardo alla parabola, e Gesù gli spiegò quello che anche loro non avevano compreso (cfr. Mc 7, 17-20).


L’uomo si definisce per le sue intenzioni


E diceva [ai suoi discepoli]: 21 “Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, 22 adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. 23 Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo”.



La tentazione di Sant’Antonio Abate

Nostro Signore veniva a spezzare la suddetta teoria farisaica dell’“universo chiuso”, quando “dichiarava mondi tutti gli alimenti” (Mc 7, 19), cioè, che tutte le creature sono neutre. La materia assimilata dall’uomo non è impura; al contrario, è l’uomo che rende buone o cattive le cose, secondo l’uso che ne fa. Di conseguenza, la “fabbrica” di impurità già esiste dentro il cuore di ogni essere umano, perché è stato concepito nel peccato originale e le sue inclinazioni sono cattive. Senza l’ausilio della grazia egli è un vero pozzo di miserie, un fattore di follie e di delitti, incapace, col suo sforzo personale, di mantenersi fedele alla pratica dei Comandamenti, in forma stabile.


Questa corruzione dipende, soprattutto, dalle sue intenzioni, poiché se, da un lato, è possibile eseguire un’azione in sé santa avendo in mente un disegno perverso, dall’altro, può succedere che uno si veda nella contingenza di assistere a scene terribili e che non sia da loro macchiato, in quanto non dà loro la sua adesione. Questa è la ragione per cui non dobbiamo turbarci quando, per esempio, un pensiero disonesto, suggerito dal demonio, ci viene in mente; purché il cuore non consenta a lui e lo respinga, rimaniamo tranquilli…


L’impurità dell’anima: questo è “il pomo della discordia” in questa discussione tra il Divino Maestro e i farisei. Gesù dimostra quanto sia ridicolo immaginare che toccando un oggetto l’anima si macchi. È chiaro che se uno utilizza il corpo per offendere Dio acquista una macchia nell’anima; ma quest’atto è partito da un cattivo desiderio dell’intelligenza e della volontà, potenze dell’anima, mentre il corpo è stato mero strumento per fare quello che è illecito.


III – Siano le labbra d’accordo con il cuore!


Dio ci ha dato una Legge eterna che ha impresso nella nostra anima; nel Sinai ci ha consegnato questa Legge scritta su tavole di pietra, infine, l’ha manifestata in modo ancora visibile e vivo nello stesso Nostro Signore Gesù Cristo, il Verbo di Dio che Si è fatto carne e ha abitato tra noi, “per dare testimonianza alla verità” (Gv 18, 37), in modo che tutti la conoscessimo perfettamente.


Madonna con Gesù Bambino

Tuttavia, dal momento in cui Adamo ed Eva hanno disprezzato tale Legge, in Paradiso, e nell’ora della prova, non hanno optato per la virtù, lasciandosi condurre dalle attrazioni del demonio al punto da commettere il peccato, la tendenza dell’uomo è quella di dimenticare la Parola e la Legge.


Ora, Dio vuole da noi un’accettazione piena della Legge immutabile e sempiterna, essendo “quelli che mettono in pratica la Parola e non ascoltatori soltanto” (Gc 1, 22); Egli desidera che il nostro intimo sia interamente d’accordo con le labbra. Queste devono pronunciare quello che trabocca dal cuore, come ha affermato Nostro Signore: “la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda” (Lc 6, 45). È proprio vero che noi dobbiamo tradurre in parole, in atteggiamenti, in gesti, in cura degli ambienti, in cerimoniale e nella stessa persona, la dottrina che abbiamo ricevuto come eredità. Ma per non cadere nell’equivoco farisaico, è necessario prima di tutto progredire nella vita spirituale, trasformare l’anima e ottenere la massima unione di vie e di pensieri con Nostro Signore Gesù Cristo; il resto verrà di conseguenza! È Lui che, con la sua grazia, deve rendere puro il nostro intimo, affinché ne esca la bontà e sboccino opere di giustizia.


Se non abbiamo mezzi per dare a Dio un buon dono, all’altezza dei nostri desideri, offriamoGli il poco che possediamo, animati, però, da eccellente intenzione, con tutta l’anima… Sarà come l’obolo della vedova elogiata da Gesù nel Vangelo (cfr. Mc 12, 41-44): ella ha gettato solo due monetine, quando, in fondo, voleva dare il suo cuore!


Com’è il mio intimo?


La Liturgia di questa 22a Domenica del Tempo Ordinario si riassume nel seguente problema: dov’è il mio cuore? Sarà che le mie labbra lodano Dio, ma il mio intimo è fuori della Legge? Quante volte preferisco essere in consonanza con il mondo e in opposizione a Nostro Signore? Io colloco Dio al centro della mia vita o pongo al centro me stesso?


Tutte le nostre azioni si mettono in correlazione col nostro destino eterno e con la nostra vocazione soprannaturale; per questo siamo invitati a essere integri davanti a Dio, amandoLo, rispettando le sue Leggi con elevazione di spirito, ferventi in relazione alla pratica della santità. Chiediamo a Maria Santissima che ci ottenga grazie straordinarie affinché i nostri cuori siano fiammeggianti e le labbra trabocchino di quello che canta e proclama il cuore!


1) SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. I, q.25, a.6, ad 4.


2) ROYO MARÍN, OP, Antonio. Teología de la perfección cristiana.

Madrid: BAC, 2006, p.286.


3) BONSIRVEN, SJ, Joseph. Le judaïsme palestinien au temps

de Jésus-Christ. 2.ed. Paris: Gabriel Beauchesne, 1934,

t.I, p.265-267.


4) TUYA, OP, Manuel de; SALGUERO, OP, José. Introducción

a la Biblia. Madrid: BAC, 1967, v.II, p.508.


5) Cfr. KELIM. M 17, 14. In: BONSIRVEN, SJ, Joseph (Ed.).

Textes rabbiniques des deux premiers siècles chrétiens.

Roma: Pontificio Istituto Biblico, 1955, p.665.


6) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, op. cit., q.103, a.5.


7) Cfr. OHALOT. M 1-3. In: BONSIRVEN, Textes rabbiniques des

deux premiers siècles chrétiens, op. cit., p.672-674.


8) Cfr. BERAKHOT. Y 12a; HAGIGÁ. M 3, 1; ZEBAHIM. B 11, 7-8;

KELIM. M 25, 6-9. In: BONSIRVEN, Textes rabbiniques des deux

premiers siècles chrétiens, op. cit., p.107; 283; 573; 668.



9) YADAIM. M 2, 3. In: BONSIRVEN, Textes rabbiniques des deux

premiers siècles chrétiens, op. cit., p.707.


10) SANT’IRENEO DI LIONE. Adversus Hæreses. L.IV, c.16, n.5:

MG 7, 1018.


11) Idem, n.4.


Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” da Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.

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