Vangelo
In quel tempo, 15 i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16 Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: “Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno. 17 Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?” 18 Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: “Ipocriti, perché Mi tentate? 19 MostrateMi la moneta del tributo”. Ed essi gli presentarono un denaro. 20 Egli domandò loro: “Di chi è questa immagine e l’iscrizione?” 21 Gli risposero: “Di Cesare”. Allora disse loro: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22, 15-21).
Dare a Cesare o dare a Dio?
Vivendo in armonia e cooperazione, la società temporale e quella spirituale offrono le condizioni per il vero progresso umano.
L’uomo è stato creato da Dio per vivere in società, sotto due autorità: quella temporale e quella spirituale. Quale deve essere il suo atteggiamento nei confronti dell’una e dell’altra? Ecco il tema del Vangelo della 29ª Domenica del Tempo Ordinario.
Non c’è una situazione statica nella vita morale
La nostra vita morale è sempre in movimento. In altre parole, nella scala dei valori tra l’estremo bene e l’estremo male, nessuno resta fermo in un grado determinato. Tutti stiamo in un certo modo camminando, anche se molto lentamente e impercettibilmente, in direzione di uno dei poli, o confusi in un viavai continuo. Ci sono anche accelerazioni in una direzione o in un’altra, risultanti da un grande atto di virtù o da un gravissimo peccato. In questa scala, pertanto, il movimento è costante, come sottolineano numerosi teologi.
Ora, rispetto al Figlio dell’Uomo, questo fenomeno si è verificato intensamente nel cuore di tutti coloro che hanno avuto la grazia di conoscerLo e, più ancora, di convivere con Lui. Maria Santissima non ha fatto che ascendere in ogni istante nella sua già così alta unione con Dio. In contropartita, gli avversari di Gesù sono cresciuti in modo continuo nell’odio nei suoi confronti. I farisei giunsero a un grande grado di indignazione udendo dalle labbra del Divino Maestro parabole, allo stesso tempo severissime e di chiara applicazione a loro, come quella dei vignaioli omicidi e quella della festa di nozze, come racconta il Vangelo: “Udite queste parabole, i sommi sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro e cercavano di catturarLo; ma avevano paura della folla che lo considerava un profeta” (Mt 21, 45-46). Fu questa la circostanza che li indusse a riunirsi urgentemente in consiglio. Questo stesso episodio è menzionato in altri termini da San Marco (cfr. Mc 12, 12-13).
Tanto dalla narrazione di uno, quanto da quella dell’altro Evangelista, è evidente il dilemma nel quale si trovavano i farisei. Da un lato, desideravano catturare Gesù per ucciderLo. Dall’altro, era per loro impossibile agire in questo senso, poiché i miracoli, le parole e la stessa figura di Nostro Signore entusiasmavano il popolo, che non Lo abbandonava neppure un istante. Come realizzare questo orrendo crimine contro una persona costantemente attorniata di fedeli? SorprenderLo nel silenzio della notte, in modo inatteso, sarebbe stato l’ideale, però anche impossibile, visto che il Redentore non dava mai loro l’opportunità di sapere dove sarebbe stato dopo il calar del Sole.
Un agguato a Nostro Signore
Così, non c’era per loro altra alternativa se non preparare una trappola al Divino Maestro, tentando di screditarLo davanti all’opinione pubblica. Abbandonato dai suoi seguaci, Egli sarebbe diventato una preda facile. Meglio ancora se fossero riusciti a strapparGli un’affermazione di ribellione contro il potere romano…
Lontano era il tempo in cui il popolo giudeo dipendeva dalla protezione dei romani per far fronte agli avversari. Scomparso il pericolo, diventava difficile comprendere i vantaggi del pagamento di un tributo all’Imperatore.
Proprio in quell’epoca era accentuata la stanchezza tra i giudei per trovarsi, da secoli, dipendenti dal potere straniero, cui si sommava un’ansia per la venuta di un Messia, considerato come l’instauratore del potere israelita su tutte le nazioni. Le conversazioni e i dibattiti su tali questioni, fortemente intrecciate con altre, di ordine morale, erano all’ordine del giorno in tutti gli angoli di Israele. Fu in questo contesto storico che Gesù venne a predicare la Buona Novella. Ora, una Sua parola orientatrice, su una materia così scottante, sarebbe stata ascoltata con incontenibile avidità. I farisei vollero approfittare di questo clima emotivo per armare un’astuta e maligna trappola al Signore.
Il modo di operare del male
In quel tempo, 15 i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi.
In questo episodio, merita pari attenzione da parte nostra la maniera di agire dei malvagi. Quando desidera tramare contro i buoni, il male, prima di presentarsi dichiaratamente, è solito preparare la sua azione con un lungo processo. Così è come agirono i farisei con Nostro Signore. All’inizio, usarono l’astuzia del serpente per insorgere, dopo, contro di Lui in modo pubblico e aggressivo. Qui li vediamo nel corso della prima operazione, desiderosi di cogliere Gesù in flagrante, al fine di scagliare contro di Lui l’opinione pubblica.
Nella nostra stessa vita privata, quante e quante volte, allo stesso modo, non siamo noi sorpresi da questo metodo farisaico utilizzato dal male per perseguitare quelli che si sforzano di seguire i passi di Gesù? Imitiamo la sapienza di Nostro Signore: non facciamoci sorprendere… Riguardo a tali tattiche farisaiche, nel Vangelo troviamo quest’altro particolare:
16a Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani,…
È un’altra dimostrazione della loro malevola astuzia: scelsero alcuni giovani, alunni di scuole rabbiniche, per causare l’impressione di autenticità, come se avessero un reale interesse a imparare, e li istruirono ad avvicinarsi al Divino Maestro con dimostrazioni di rispetto. Su questo particolare, così commenta lo stimato esegeta Louis Claude Fillion: “Per questo, all’inizio evitarono di presentarsi di persona, timorosi di suscitare la sua diffidenza. Gli inviarono alcuni dei loro giovani talmudim o discepoli, i quali, con apparente candore, Gli proposero un caso di coscienza, sperando che lo risolvesse venendosi a trovare in una situazione molto difficile”.1
Ma un altro dato richiama l’attenzione: li inviarono insieme ad alcuni “erodiani”.
Anche quando sono in campi opposti, è incredibile la capacità dei malvagi di unirsi contro il bene. I farisei anelavano l’indipendenza e supremazia di Israele e odiavano i romani; gli erodiani appoggiavano la famiglia di Erode, che aveva ricevuto il suo potere dai romani. Così, sebbene fossero acerrimi avversari, farisei ed erodiani si trovano affratellati in questo episodio, alla ricerca di un fine comune: il deicidio. Dell’astuzia del serpente fa parte l’adulazione insidiosa:
16b …a dirgli: “Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno”.
Con tali parole, i farisei si condannano da soli. Infatti, non erano sinceri e vivevano preoccupati dell’opinione che gli altri potevano farsi di loro, attenti solo alle apparenze.
17 “Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?”
Se Gesù avesse optato per l’obbligo morale di pagare l’imposta pretesa dai romani, erano già pronte le trombe degli avversari per sollevare gli israeliti contro di Lui, poiché non era ammissibile che un Messia Si manifestasse a favore della sottomissione allo straniero pagano. D’altra parte, se Gesù avesse negato la liceità del tributo, sarebbe stato denunciato alle autorità romane, che certamente lo avrebbero condannato a morte.
Qui è chiaro il ruolo degli erodiani in questo episodio. “Come adepti del governo di Roma, sarebbero stati accusatori e testimoni, se la risposta di Gesù fosse loro sembrata contraria agli interessi dell’Impero”,2 commenta il già menzionato Fillion.
Gesù inverte i ruoli
A seguito del racconto evangelico, Nostro Signore probabilmente avrà sorpreso i suoi avversari per la veemenza della risposta:
18 Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: “Ipocriti, perché Mi tentate?”
Che grande differenza tra i metodi utilizzati rispettivamente dal male e dal bene! I farisei adulano per perdere; Gesù sgrida per salvare.
I farisei non potevano lamentarsi di aver ricevuto questo severo rimprovero. Gesù, la Sapienza Eterna e Incarnata, rispondeva in primo luogo alla loro intenzione nascosta: tentare con ipocrisia. “Non gli rispose soavemente in accordo con le parole pacifiche che Gli avevano rivolto, ma con asprezza, secondo le loro cattive intenzioni; perché Dio risponde ai pensieri e non alle parole”.3 E li smascherava in pubblico. Gesù continuò:
19 “MostrateMi la moneta del tributo”. Ed essi gli presentarono un denaro.
I romani permettevano che monete di rame fossero coniate dalle autorità del popolo locale. In esse erano impresse immagini tratte dai regni vegetale e animale. Il denario, però, moneta d’argento da usare in tutto l’Impero, era monopolio di Roma. Con esso si pagava l’imposta ed era impressa l’effigie dell’imperatore, cinta con una corona d’alloro, con questa iscrizione: “Tiberio Cesare, sublime figlio del divino Augusto”.
Facendosi mostrare dai farisei una di queste monete, Gesù finiva per invertire i ruoli. Chiariva che, sebbene in teoria rifiutassero l’imperatore come signore del Paese, nella pratica lo accettavano, utilizzando la sua moneta. Essi, da parte loro, capirono dove avrebbe parato la risposta. Tuttavia, nella loro cattiveria e cecità, si illudevano, sperando ancora in un possibile errore di Nostro Signore. Possiamo immaginare l’atmosfera di suspense formatasi in quell’istante.
20 Egli domandò loro: “Di chi è questa immagine e l’iscrizione?”
Metodo di suprema saggezza nella risposta: obbligare l’avversario a trarre la conclusione dalla propria affermazione. Gli indagati diventarono i farisei.
21 Gli risposero: “Di Cesare”. Allora disse loro: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.
Ecco la risposta che si impresse per sempre nei cieli della Storia. Chi utilizzava il denaro di Cesare, che gli pagasse l’imposta dovuta, ancor più avendo presente i benefici offerti alla Palestina dall’amministrazione romana.
Trattandosi di una nazione essenzialmente teocratica, com’era quella giudaica, si comprende la perplessità nella quale molti potevano trovarsi. Tuttavia, c’era una situazione, di fatto, da cui non si poteva prescindere.
L’insegnamento di Gesù sull’armonia tra l’ordine spirituale e quello temporale
Le cose di Dio e le cose della Terra non devono essere antagoniste. Al contrario, tra loro deve esserci collaborazione. Nell’armonia tra entrambe le sfere, quella temporale e quella spirituale, sta il segreto del progresso. E la Storia ci mostra che nulla può esserci di più eccellente che seguire il consiglio di Nostro Signore: “Cercate piuttosto il Regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta” (Lc 12, 31).
Sia detto di passaggio, è in questa coniugazione e collaborazione tra lo spirituale e il temporale che risiede, secondo il loro carisma, lo sforzo degli Araldi del Vangelo: operare cercando la consecratio mundi, la sacralizzazione dell’ordine temporale, in quanto laici e figli amorosi della Chiesa, fedeli al Papa, come strumenti della Nuova Evangelizzazione.
Armonia dentro di noi
Si può dire che ci sia una specie di convivenza tra le due sfere dentro l’uomo, visto che abbiamo con noi stessi dei doveri riguardanti la nostra vita spirituale e le necessità del nostro corpo. A tale riguardo, commenta Origene: “Possiamo anche intendere questo passo in senso morale, perché dobbiamo dare al corpo alcune cose, come il tributo a Cesare, cioè, il necessario; ma tutto quanto corrisponde alla natura delle anime, cioè, quello che si riferisce alla virtù, dobbiamo offrirlo al Signore. Quelli che insegnano la Legge in modo esagerato e ci ordinano di non occuparci in assoluto delle cose dovute al corpo […] sono farisei, che proibiscono di pagare il tributo a Cesare, mentre quelli che dicono che dobbiamo concedere al corpo più di quello che dobbiamo, sono erodiani. Il Nostro Salvatore vuole che la virtù non sia disprezzata quando prestiamo troppa attenzione al corpo; e nemmeno sia la natura oppressa, quando ci dedichiamo con eccesso alla pratica della virtù”.4
Concludiamo, seguendo il consiglio di Sant’Agostino:5 se ci preoccupiamo delle monete sulle quali è impressa l’effigie di Cesare, molto più dobbiamo preoccuparci delle nostre anime, nelle quali Dio ha impresso la propria immagine. Se la perdita di un bene terreno ci intristisce, molto più ci deve addolorare il causar danno alla nostra anima col peccato.
1) FILLION, Louis-Claude. Vida de Nuestro Señor Jesucristo. Pasión, Muerte y Resurrección. Madrid: Rialp, 2000, v.III, p.38
2) Idem, p.38-39.
3) AUTORE INCERTO. Opus imperfectum in Matthæum. Omelia XLII, c.22, n.16: MG 56, 867.
4) ORIGENE, apud SAN TOMMASO D’AQUINO. Catena Aurea. In Matthæum, c.XXII, v.15-22.
5) Cfr. SANT’AGOSTINO. Sermo CXIII/A, n.8. In: Obras. Madrid: BAC, 1983
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